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Ue, niente velo al lavoro? Non basta una sentenza, ci sono altri simboli

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Professore ordinario di diritto comparato
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Il 13 ottobre scorso la Corte di Giustizia dell'Unione europea ha emesso una rilevante sentenza (C 344/20) sulla validità del divieto che proibisce ai dipendenti di indossare sul luogo di lavoro segni religiosi come il velo islamico. In particolare, alla Corte UE è stato chiesto se una disposizione interna di un'impresa, che vieta ai lavoratori di avere indosso sul luogo di lavoro qualsiasi segno visibile di convinzioni politiche, filosofiche o religiose costituisca, nei confronti dei lavoratori che seguono determinate regole di abbigliamento in ragione di precetti religiosi, una discriminazione fondata sulla religione o sulle convinzioni personali, vietata dalla direttiva 2000/78.

 

 


La Corte, nel rilevare che il fatto di indossare segni o indumenti per manifestare la propria religione rientra nella libertà di pensiero, di coscienza e di religione, ha però affermato che un siffatto divieto non costituisce una discriminazione, ove riguardi indifferentemente qualsiasi manifestazione di tali convinzioni e tratti in maniera identica tutti i dipendenti dell'impresa, imponendo loro, in maniera generale ed indiscriminata, una neutralità di abbigliamento che impedisca di indossare dei segni religiosi distintivi. In sostanza, viene validata la volontà del datore di lavoro di perseguire una politica di estraneità religiosa verso i propri clienti e verso il pubblico.

 

 

Diversamente, una interferenza esterna su tale posizione assunta dal datore di lavoro configurerebbe una violazione della libertà di impresa, altro diritto fondamentale riconosciuto dall'ordinamento europeo. Così il datore di lavoro può legittimamente vietare ogni esibizione di convinzioni politiche, filosofiche o religiose quando i lavoratori sono a contatto con i clienti o tra di loro, poiché l'ostentazione di qualsiasi segno, anche se di piccole dimensioni, compromette l'idoneità del divieto a raggiungere l'obiettivo perseguito. Ma, per raggiungere il fine di una legittima neutralità religiosa, il divieto deve colpire indistintamente tutti i segni religiosi esibiti (la croce cristiana, il velo islamico, la kippah ebraica, il turbante sikh, ecc.), anche quelli meno visibili.

di Pieremilio Sammarco

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