Cerca
Cerca
+

De Angelis? L'ipocrisia della sinistra: i dubbi legittimi solo sulla colpevolezza di Adriano Sofri

Giovanni Sallusti
  • a
  • a
  • a

Partiamo, per comodità, dal tweet di uno come Pier Luigi Bersani, che essendo un comunista vecchia maniera dovrebbe essere perlomeno in possesso di una cultura storica seria, diciamo non una qualsiasi prefica del politicamente corretto che strilla dalle colonne di Repubblica o de La Stampa. Ammonisce Pier Luigi che l’affaire De Angelis è pericoloso perché mira a «lasciare aperto il vaso di Pandora delle falsità nere mentre finalmente la verità giudiziaria si afferma. Chi non rispetta le vittime innocenti negando loro una verità conclamata non merita il rispetto degli italiani». Interessante, da un punto di vista filosofico: la “verità giudiziaria” esaurisce l’intero spettro della verità, coincide con la verità tout court, ci dice Bersani e con lui tutto il cucuzzaro progressista in coro.

Ora, evidentemente la verità è faccenda troppo ultimativa e aggrovigliata per essere garantita sempre e comunque dai timbri di un tribunale (fosse così, del resto, non esisterebbero gli “errori giudiziari”, viceversa storia e cronaca di questo Paese). Ma facciamo finta che sia così, partecipiamo un attimo all’ultimo gioco estivo dei Buoni: la verità giudiziaria è «conclamata», incisa a fuoco sulle Tavole della Legge, chi la contesta si pone al di fuori del consorzio civile. Perdonate, però col compagno Adriano Sofri, leader di Lotta Continua condannato in via definitiva a 22 anni di carcere per l’omicidio del commissario Luigi Calabresi, non vi regolaste così. In quel caso, il pronunciamento finale della Cassazione venne ridotto a carta straccia, abbaglio, fallacia macroscopica. In quel caso, poté svilupparsi pubblicamente un movimento innocentista, basato proprio sullo slittamento possibile (anzi, dichiarato) tra verità giudiziaria e verità accaduta. Vennero organizzate raccolte -firme, si vergarono appelli, giornalisti e intellettuali contraddicevano quotidiniamente la sentenza in diretta tivù (per fortuna, essendo una delle libertà che distingue una democrazia da una dittatura), cioè facevano esattamente quel che ha fatto De Angelis, tra gli applausi scroscianti del pubblico.

Di più: la conduttrice televisiva Daria Bignardi, moglie di Luca Sofri, figlio di Adriano, scrisse su Vanity Fair nel febbraio 2014: «Sono orgogliosa di avere come nonno dei miei figli un uomo che ha ingiustamente subito una condanna per qualcosa che non ha commesso, e che è sempre rimasto la persona straordinaria che è». Dunque: una persona che ha un legame parentale con qualcuno coinvolto in un tragico fatto di sangue italiano (come De Angelis, il cui fratello Nazareno fu arrestato dopo la strage di Bologna in quanto dirigente di Terza Posizione e morì in carcere) sostenne su un rivista patinata che la verità giudiziaria era una falsità integrale, senza nessuna conseguenza. Anzi, la Bignardi nel febbraio 2016 (governo Renzi) venne poi nominata direttrice di Rai3, ovvero ricoprì un incarico apicale all’interno del servizio pubblico, retribuito dai contribuenti. Nessuno trovò quindi inopportune le sue esternazioni palesemente tese a “negare le evidenze processuali”, per usare l’espressione fintamente scandalizzata che Elly Schlein ha riservato a De Angelis.

Del resto, le “evidenze processuali” non rischiarano mai del tutto il calderone della storia, ed è proprio su quest’eccedenza della realtà rispetto alla sua rappresentazione tribunalizia che cresce il giornalismo d’inchiesta, verosimile o no. Sul caso Moro sono state diffuse tutte le possibili verità alternative rispetto a quella giudiziaria, che inchioda gli assassini brigatisti. Sono stati tirati in ballo il complotto della Cia, il complotto del Kgb, il complotto congiunto di entrambi, le infiltrazioni del Mossad dentro le Br, il ruolo della mafia. Tutte ipotesi, o romanzi, ben oltre la verità acquisita in aula. D’altronde, Massimo D’Alema potè dichiararsi «allibito e sconcertato» quando nel 2003 la Cassazione annullò la condanna di Giulio Andreotti per l’omicidio Pecorelli. Per cui sì, a quanto pare ci sono verità giudiziarie più vere di altre. Per cui sì, ci stanno prendendo in giro. 

Dai blog