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Giustizia, se l'Anm difende anche il pm delle "botte culturali"

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Claudia Osmetti
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Sarà che (facciamo finta) “le sentenze non si commentano”, però le requisitorie sì. E quando diventano il caso della settimana, nel calderone dell’indignazione sì - indignazione no, ci finiscono un po’ tutti. Csm e Anm compresi. L’episodio è quello (arcinoto, oramai) del pm di Brescia Antonio Bassolino che ha chiesto di archiviare il fascicolo di un cittadino originario del Bangladesh, accusato di maltrattamenti sulla moglie, perché sarebbe «un fatto culturale». Non sono piaciute a tanti, le sue parole. Per esempio alla stessa procura di Brescia che ha preso le distanze dissociando il dissociabile, ma hanno fatto saltare sulla sedia pure il Csm, il Consiglio superiore della magistratura che si occupa proprio di valutare la professionalità di giudici e affini.

Dice il Csm, o meglio Enrico Aimi, il presidente della Prima Commissione, che sarebbe il caso di aprire una pratica su Bassolino «per la gravità delle asserzioni che parrebbe giustificare, se non autorizzare, la violenza domestica» e che «gli alibi culturali non devono trovare ospitalità nel nostro ordinamento perché rappresentano un’inaccettabile e ingiustificabile forma di relativismo giuridico».

 


Apriti cielo, però. Perché se da una parte c’è la politica (bipartisan) che invoca gli ispettori e c’è il Csm che invoca un controllo e c’è la procura bresciana che invoca clemenza (noi-c’entriamo-nulla); dall’altra c’è l’Anm, l’Associazione nazionale dei magistrati, che non è un sindacato ma ci va vicino, è l’organo rappresentativo della categoria, che, nella costola bresciana, difende Bassolino. Della serie: uno (i virgolettati sono papali da una nota), «dalla lettura completa dell’atto (l’argomentazione del pm, ndr) emerge che a fondamento della domanda di assoluzione abbia addotto principalmente la mancanza di prova del fatto (...) requisito previsto dalla legge perché il reato si configuri»; due, «è stata gravemente minata la dignità umana e professionale del singolo magistrato la cui cifra personale e culturale è indebitamente messa in discussione» e tre, «si aggiungono le ormai consuete acritiche condanne provenienti dalla politica che sempre più frequentemente invoca ispezioni ministeriali».

Ci resta poco spazio e vediamo di essere schematici. Quanto al primo punto: l’Anm è un organo di rappresentanza (l’abbiamo detto), mica un giudice collegiale che decreta e sentenzia o lascia intendere quel che altri dovrebbero decretare o sentenziare. Le decisioni sui casi giuridici le prende il tribunale, fine. Sul secondo: e «la dignità umana» della presunta (stiamo ancora aspettando il verdetto di primo grado) vittima no? Quella, spiattellata al pari sulle prime pagine dei giornali, non vale? Circa l’ultimo appunto le ispezioni ministeriali sono una garanzia, il guardasigilli le può richiedere «quando lo ritiene più opportuno» (è scritto sul sito del ministero, non serve una laurea in Legge per saperlo) e se ne facciano una ragione anche all’Anm. Altrimenti la questione diventa infinita e, qui, di polemiche, se ne sono sollevate fin troppe. 

 

 

 

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