Cerca
Cerca
+

Dossieraggio, dagli autori ai mandanti: 10 domande in cerca di risposte

Esplora:

Daniele Capezzone
  • a
  • a
  • a

È giunto il momento di un’analisi a freddo della vicenda dei dossieraggi, evitando di farci sviare da elementi marginali e di contorno, e restando ben focalizzati sul cuore della questione.

L’altro ieri il sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia, il dottor Antonio Lau dati, si è avvalso della facoltà di non rispondere ai magistrati della procura di Perugia. Lasciamo la parola al suo difensore, l’avvocato Andrea Castaldo: «Questa sofferta decisione (...) si è resa necessaria per l’incontrollata fuga di notizie avvenuta nel frattempo, per le continue dichiarazioni succedutesi in ambienti istituzionali e non, che hanno contribuito a rendere non chiara la vicenda, trasferendola sul piano mediatico e politico». Morale: «Dopo la massiccia e incontrollata diffusione di notizie coperte dal segreto istruttorio, ritengo che non sussistano, al momento, le condizioni per lo svolgimento dell’interrogatorio fissato».

Ora, qui a Libero siamo garantisti sempre e in tutti i casi, senza alcuna eccezione. E non saremo certo noi a contestare al dottor Laudati – come cittadino indagato – il sacrosanto diritto di scegliere la propria strategia difensiva e di esercitare le prerogative che i codici riconoscono agli indagati, inclusa la facoltà di non rispondere.

LA BEFFA
Ma, in tutta franchezza, l’idea che uno dei superiori del sottufficiale Striano (cioè – da quanto si comprende – chi stava gerarchicamente e funzionalmente sopra l’autore di 40 o 50mila accessi abusivi a banche dati che dovevano essere ultraprotette e ultrariservate) ci dica che c’è stata una «incontrollata fuga di notizie» sa di beffa per i cittadini, e di qualcosa ancora peggiore della beffa per coloro i cui dati sono stati illegalmente cercati-trovati-utilizzati.

Lo ripetiamo ancora a scanso di equivoci: essendo la responsabilità penale personale, è ovvio che ogni indagato possa comportarsi come ritiene. Ma sarebbe poco tollerabile per la decenza stessa della vita della Repubblica se ora andasse in scena una specie di vaudeville, con Striano che – in un’intervista – fa capire di aver agito su sollecitazione di magistrati, con il dottor Laudati che non risponde e per altro verso evoca il ruolo dell’ex procuratore antimafia Cafiero de Raho («Tutti i miei atti erano firmati dal procuratore antimafia»), insomma con una specie di rimpallo, di gioco di specchi, attraverso il quale l’uno (Striano) lascia intendere di non essere disposto a farsi scaricare, l’altro (Laudati) indica una responsabilità oggettiva dell’attuale parlamentare grillino Cafiero de Raho, e l’altro ancora (Cafiero de Raho, appunto) siede tranquillo e imperturbabile come membro della Commissione parlamentare incaricata di occuparsi della vicenda.

Mettiamola così: negli anni Sessanta fece furore il caso Bebawi, un clamoroso omicidio con i due principali imputati che – magistralmente difesi da due principi del foro come Giovanni Leone e Giuliano Vassalli – si accusarono a vicenda, ottenendo alla fine un duplice verdetto di assoluzione.

 

I QUESITI
Ecco, a noi – mutatis mutandis – gli esiti processuali di questo scandalo del dossieraggio importano fino a un certo punto. Quel che però non è tollerabile è che, a forza di tattiche distraenti e di bengala sparati in aria, tutto finisca in una bolla di sapone e si perda di vista ciò che è davvero accaduto e le risposte che qualcuno dovrà dare.
Ogni cittadino comprende che, al di là dei singoli indagati, sono per un verso i vertici della Procura nazionale antimafia e per altro verso i vertici della Guardia di Finanza a dover aiutare questa nostra gloriosa ma fin troppo fragile e vulnerabile Repubblica a fare chiarezza su alcuni punti fermi.

1 - Chi – nella Procura nazionale antimafia e nella Guardia di Finanza – ha scelto, incaricato, e poi coperto il sottufficiale Pasquale Striano?

2 - Oppure: chi – nella migliore delle ipotesi – ha omesso di vigilare adeguatamente sul suo operato?

3 - Davvero vogliamo credere che, a fronte di decine di migliaia di accessi illegali per estrarre informazioni riservate, tutto sia confluito in appena 5-6 articoli di un quotidiano? E tutto il resto del materiale che fine ha fatto?

4 - Che uso è stato compiuto di questa massa di informazioni, o che uso si pensava di compierne, e in cambio di quale utilità?

5 - E ancora (elemento logico decisivo): fermo restando il nostro garantismo, se per caso dovesse essere confermata la tesi accusatoria e quindi la responsabilità del sottufficiale Striano, siamo così ingenui da credere che abbia svolto un’attività così rischiosa solo per passare qualche carta a tre cronisti? Logica induce a ritenere che un individuo razionale possa assumere un rischio simile solo in base a una richiesta a cui non può sottrarsi, o dalla quale tragga una contropartita ingente, o rispetto alle cui conseguenze ritenga di essere adeguatamente tutelato e protetto.

6 - Se questa attività di pesca a strascico avveniva “on demand”, chi sono i soggetti che hanno effettuato richieste indebite?

7 - Si deve ritenere che, in circuiti istituzionali o su binari paralleli, si fosse diffusa la convinzione che esistesse un “service provider” di informazioni sensibili?

8 - Perché, nel Paese in cui si abusa delle misure cautelari, nel caso del dottor Striano esse non sono state disposte?

9 - Questo fatto ha un qualche rapporto con la possibilità che materiale probatorio decisivo possa essere stato occultato o distrutto da qualcuno?

10 - Vi sono entità estere che si sono avvantaggiate di questa attività?

Sono queste le domande a cui dovrà essere data una risposta convincente: senza omissioni e senza zone d’ombra. Siamo un Paese del G7, una grande democrazia. Non possiamo tollerare come “normale” un gigantesco metodo di hackeraggio istituzionale.

 

Dai blog