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Berlusconi, ai giudici non rimane che il fantasma di Silvio

Francesco Specchia
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Berlusconi comes back, la nostalgia dei magistrati per il Cavaliere- anche da mortopossiede sempre una sua indiscutibile attrattiva. Accade che, nella reazione della Anm sui test psicoattitudinali per gli aspiranti magistrati, l’argomento principe torni ad essere l’indimenticata “teoria psichiatrica” che sulle toghe espresse Silvio Berlusconi in un intervista a The Spectator nel 2003. A rispolverarla, è stato per primo il quotidiano La Repubblica: «Questi giudici sono doppiamente matti! Per prima cosa perché lo sono politicamente; secondo, sono matti comunque. Per fare quel lavoro» spiegò l’allora presidente del Consiglio. «Devi essere mentalmente disturbato, devi avere delle turbe psichiche. Se fanno quel lavoro è perché sono antropologicamente diversi dalla razza umana», disse il Berlusca al collega Nicholas Farrell. Si trattava, ovvio, di un’affermazione giocata sul filo del paradosso, attraversata da un fillo di esasperazione, da parte di un signore che da dagli anni ’90 al 2023 aveva contato ben 32 processi conclusi a suo carico; e quell’affermazione, allora, venne interpretata dai giudici, con eccesso di zelo, come un attacco alla democrazia.

IL SOGNO DI NORDIO

Bene. La notizia è che oggi ogni magistrato ospite nei talk televisivi, adotta la boutade berlusconiana allo scopo d’infiammare il dibattito, appunto in riferimento ai “Minnesota test” di cui sopra. Prima Federico Cafiero De Raho (che essendo citato nell’inchiesta sui dossieraggi avrebbe potuto astenersi, specie nell’accomunare Licio Gelli a un ex presidente del Consiglio...), poi gli ottimi Giuseppe Santalucia e Eugenio Albamonte, rispettivamente presente e passato presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati a Piazzapulita e Tagadà su La7 e infine, a strascico, le toghe minori negli angoli delle procure e nelle sedi della pubblica disturna: tutti i magistrati reagiscono al test attaccandolo come fosse la «realizzazione del sogno proibito di Berlusconi», invece di argomentare tecnicamente la loro contrarietà. È una specie di riflesso pavloviano. Arriva una qualsiasi proposta di riforma della giustizia dal centrodestra, che scatta la vibrata reazione, e il nome di Silvio viene espettorato all’unisono.

Ora, lo spettatore medio si chiede: ma che c’entra Berlusconi con l’attuale riforma della giustizia? E qui l’immaginazione galoppa su uno scenario esoterico: il Berlusca che, dall’aldilà, appare in sogno al ministro della Giustizia Nordio e, oltre a dargli i numeri del lotto si raccomanda: «Carlo, Carlo ricordati di vendicarmi. E dei test psicoattitudinali ai giudici...». Alchè Nordio, una volta sveglio e sudaticcio, obbedisce all’irresistibile monito del de cuis; ed eccolo vergare l’orribile decreto, in omaggio postumo (ci permettiamo il paradosso, data la nota ironia del Cavaliere...). Una scena affascinante. Ma che nulla ha anche vedere con Nordio, ex stimatissimo magistrato, né con Giorgia Meloni la quale non soltanto non ha alcun tipo di problema giudiziario ma addirittura vanta da sempre il sostegno dei magistrati nel dna.

Ora, l’ombra di Silvio che s’allunga come tenebra sugli assetti costituzionali è espediente non inedito. Il linguista Noam Chomsky (e non solo lui) la chiamarebbe straw man argument o straw man fallacy: l’argomento-fantoccio o la “fallacia del fantoccio”. Che consiste nel rappresentare scorrettamente l’argomentazione dell’avversario: esagerandola, travisandola, in modo da spostare il focus dall’argomentazione reale proposta ad un’argomentazione fittizia, allo scopo di confutarla più facilmente. Si tratta di una mossa da manuale, utilizzata quando non si hanno sufficienti leve dialettiche, e il dibattito pubblico scade nell’ideologico. I giudici hanno tentato di controbattere chiamando in causa, sul test, la «lesione del principio di separazione dei poteri», alla quale Nordio ha prontamente risposto precisando che tale nuova fase selettiva sarebbe integralmente svolta sotto la guida del Csm, senza cioè alcuna possibile interferenza ministeriale. Poi s’è cercato di opporre il concetto che la polizia è dotata di armi pericolose in caso di pazzia, ma i giudici non hanno armi».

E qui Nordio ha spiegato che il potere di privazione della libertà resta un’arma pericolosissima. E il ministro ha posto un quesito di logica inoppugnabile: «L’esame psicoattitudinale è previsto per tutte le funzioni più importanti del Paese, per i medici, per i piloti di aereo, ma è soprattutto previsto per le forze dell’ordine. Questa è una domanda che vorrei fare a chi polemizza proprio tra i miei ex colleghi e vorrei una risposta logica. Il pm è il capo della polizia giudiziaria, che viene sottoposta ai test psicoattitudinali. Se noi sottoponiamo a questi test chi ubbidisce al comandante, è possibile non sottoporre al test psicoattitudinale chi ha la direzione della polizia giudiziaria? Aspetto la risposta, non vorrei fosse la solita polemica ed evanescente». Naturalmente non c’è stata risposta, ma la solita polemica evanescente.

 

 

 

LA LEGGE TOGLIATTI

In realtà i test psicoattitudinali già usati ottimamente per la Forze Armate e i corpi di polizia appunto, servono a valutare, come elemento aggiuntivo per l’esame di magistratura, la stabilità emotiva, l’affidabilità, l’adeguata capacità di giudizio (temperata dalla terzietà, raccomandata dalla Costituzione), il comportamento sociale (ispirato ai principi, anch’essi costituzionali, di disciplina e onore del funzionario pubblico) e la resistenza allo stress. Sfido qualsiasi magistrato di buon senso a dichiarare che le suddette attitudini non siano un pre-requisito essenziale all’esercizio del mestiere. Tra l’altro, si tratta del principio ispiratore dell’articolo 3 della cosiddetta legge Togliatti sulle Guarentigie della Magistratura ossia il Regio Decreto legisl. n.511/46. Bisognerebbe ricordarlo all’opposizione, e alla frangia sinistra delle toghe. La separazione di poteri non prevede quella del buonsenso: in questo Berlusconi non aveva tutti i torti... 

 

 

 

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