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Centri in Albania, la giudice dello stop Silvia Albano? Le interviste su "Repubblica" e "L'Unità"

Giovanni M. Jacobazzi
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Nessuna sorpresa. La decisione della Sezione specializzata in materia di diritti della persona e immigrazione del Tribunale di Roma di non convalidare questa settimana il trattenimento, nel centro di permanenza per il rimpatrio a Gjader in Albania, di dodici migranti, sette bengalesi e cinque egiziani, era quanto mai scontata. Avrebbe fatto notizia il contrario.

Rileggendo alcuni interventi pubblici sul punto da parte dei componenti della Sezione, ad iniziare da quelli della giudice Silvia Albano, decana dell’ufficio e, fra l’altro, presidente nazionale di Magistratura democratica, la corrente di sinistra delle toghe, era molto improbabile aspettarsi una pronuncia diversa. Le prime avvisaglie del fatto che le iniziative del governo di Giorgia Meloni per arginare l’immigrazione clandestina si sarebbero miseramente schiantate contro un muro risalgono allo scorso anno, quando proprio la dottoressa Albano stroncò senza appello il protocollo fra Roma e Tirana. La magistrata progressista adombrava, in una intervista a Repubblica, la possibilità che alcune disposizioni potessero essere addirittura in «contrasto» con le norme vigenti. In particolare, le procedure per le domande di asilo che potevano essere avanzate nel territorio dello Stato membro, alla frontiera, nelle acque territoriali e nelle zone di transito. E l’Albania, ricordava la toga, non rientrava in nessuna di queste “opzioni”.

 

Ma ciò che è avvenuto questa settimana, e quindi il non considerare sicuri il Bangladesh e l’Egitto, la giudice lo aveva sostanzialmente anticipato con un suo commento pubblicato sull’Unità prima dell’estate. Nel mirino vi era la decisione del governo di inserire questi due Paesi nella lista di quelli sicuri. Una scelta che si poteva leggere, per la magistrata, con l’esigenza di «attuare il protocollo con l’Albania».

A dare manforte alle tesi della giudice è poi arrivato il sorprendente assist della Corte di giustizia dell’Unione europea che, con un provvedimento dell’inizio del mese, ha messo tutto in discussione, rendendo non più sicuri non solo i citati Paesi ma anche tutti gli altri.

Tornando alla Sezione specializzata in materia di diritti della persona e immigrazione di Roma, non si può infine non ricordare come negli anni sia diventata un vero tribunale, con un organico che sfiora oggi le trenta unità. L’evidente sproporzione con qualsiasi altra Sezione specializzata italiana rischia di condizionare tutte le future decisioni in materia di migranti.

In altre parole, il “pensiero” della dottoressa Albano può fare giurisprudenza. E non è un mistero la vicinanza di Magistratura democratica con i partiti di sinistra. È sufficiente rileggere a tal proposito il programma del XXII congresso nazionale di Md, dal titolo molto evocativo, “Il giudice nell’Europa dei populismi”, per fugare ogni dubbio. Una sessione del congresso venne dedicata alle «politiche sull’immigrazione per una Europa dei diritti e della solidarietà», un’altra alle «regole sotto attacco, stato di diritto e pulsioni demagogiche». Fra gli ospiti, l’allora europarlamentare del Pd Elly Schlein, Laura Boldrini, il segretario della Cgil Maurizio Landini, e il gotha del giornalismo progressista, da Massimo Giannini a Gad Lerner, oggi tutti in prima fila nel criticare le politiche migratorie del governo.

 

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