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Referendum giustizia, le toghe pro-riforma: "Temiamo rappresaglie"

#ReferendumGiustizia, chi parla è perduto. Le toghe pro-riforma a "Libero" spiegano: "Temiamo rappresaglie, per questo non ci esponiamo". I magistrati sono divisi ma pochi osano schierarsi col centrodestra: in ballo c'è la carriera
di Simone Di Meodomenica 2 novembre 2025
Referendum giustizia, le toghe pro-riforma: "Temiamo rappresaglie"

4' di lettura

Le notizie son due. La prima: la monolitica compattezza dell’Anm sul referendum non c’è, non esiste, è pura propaganda. La seconda: i magistrati pro riforma sono costretti a nascondersi per paura – dice una fonte a Libero – che «partano le rappresaglie». Abbiamo contattato pm, giudici, giuristi di lungo corso delle giurisdizioni superiori per capire come i diretti interessati si stiano organizzando in vista della consultazione popolare sulla riforma della giustizia. E tranne tre casi – di cui diremo più avanti – nessuno ha voluto metterci la faccia. La spiegazione è sempre la stessa. Una toga inquirente del distretto della Corte d’appello di Napoli. «Eventi per il sì organizzati da noi? Ma per carità, è praticamente impossibile che ce ne siano. Ci vuole far finire davanti al plotone di esecuzione?».

FREDDEZZA
Un collega ex antimafia di Salerno: «Ne ho parlato con alcuni colleghi, pur favorevoli alla riforma, proponendo un nostro impegno diretto. Risultato? Non mi hanno quasi risposto. Ho percepito una freddezza che imbarazza. Alla fine, ho dovuto giustificarmi dicendo che scherzavo». Una toga, che ha avuto un passato a Napoli e poi è approdata in Calabria, lancia suggestioni: «Se soltanto voi immaginaste quel che dobbiamo sopportare...».

L’Anm si è schierata frontalmente contro il piano del governo di riorganizzare carriere e Csm offrendo una immagine salda e compatta per il “no”. «Anche le correnti più moderate han dovuto bere l’amaro calice», ci spiega un ex esponente di Magistratura indipendente, «nonostante sia chiaro come l’estremismo di alcune posizioni riguardi il cartello rosso delle toghe, e non tutti». Il rischio, aggiunge, è «di essere marginalizzati nella battaglia e di perdere reputazione e iscritti». Da Potenza arriva questa riflessione. «Non farò “campagna elettorale” pur essendo a favore della riforma per il semplice motivo che i giudici, su questo tema, non dovrebbero proprio esprimersi. Chi ci mette oggi la faccia per il “no”, come farà domani a presentarsi come giudice terzo e imparziale se vincerà il sì?». Ma, nel pratico, un magistrato che voglia esporsi per difendere la sua idea, la sua visione dell’ordinamento giudiziario, che cosa fa? Ci risponde un giudice del Riesame del distretto di Roma. «Anzitutto, bisogna muoversi con cautela», sottolinea, «perché l’indipendenza e l’autonomia tanto sbandierate dall’Anm, in realtà, sono annullate, anzi vengono viste con insofferenza, se cerchi di andare contro il pensiero dominante».

PASSAPAROLA
I più coraggiosi hanno creato ristretti gruppi WhatsApp per scambio di idee e informazioni. «Ma le posso dire che l’impegno di noi magistrati per il Sì è tutto concentrato all’esterno della nostra corporazione. È inutile rischiare tanto per ottenere un risultato minimo. Io non voglio faticare il triplo per convincere un collega, non mi interessa». «Voglio, piuttosto, convincere 100 amici e parenti». Analisi condivisa anche da una toga di Caserta. «Le correnti esercitano un potere di ricatto gigantesco sui singoli magistrati che non sono allineati», ragiona, «e questo spinge tanti di noi a uscire dal perimetro dell’ordine giudiziario e a cercare altrove nuovi interlocutori». «Autonomia e indipendenza dei magistrati sono diritti dei cittadini, che ne sono gli esclusivi titolari. Per noi magistrati sono un dovere e un limite», afferma invece Luigi Bobbio, ex senatore e unico magistrato ordinario in servizio tra i fondatori del Comitato per il sì. «La magistratura se ne è impossessata per difendere lo strapotere che ha.

Così facendo, si è fatta a sua volta parte politica, violando proprio il suo dovere di autonomia e indipendenza. La riforma costituzionale sulla separazione delle carriere non ha scalfito in niente autonomia e indipendenza né dei giudici né dei pm. E anche su questo punto l’associazione nazionale magistrati dice il falso». Secondo Bobbio, «chi vuole nei fatti politicizzare il referendum è proprio l’Anm con i suoi accompagnatori di partito, nel momento in cui si è fatta essa stessa parte politica, centro di interessi autonomo, non avendo, peraltro, alcun ruolo di rappresentanza dei cittadini, ponendosi come alter ego politico».

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Convinto “sì” per il referendum arriva anche da Paolo Itri, ex pm antimafia e scrittore, oggi presidente di sezione della corte di giustizia tributaria di Napoli, che pone però l’accento sul sorteggio dei componenti togati del Csm. «Questa riforma è figlia della degenerazione correntizia in magistratura di cui lo scandalo Palamara è stato solo la punta dell’iceberg», commenta. «L’unica soluzione è il sorteggio. Le correnti hanno usato lo strumento associativo per accordi di potere sottobanco, per orientare gli incarichi direttivi a tutto danno della meritocrazia». Conclude Itri: «Forse qualcuno dimentica che lo stesso Giovanni Falcone è stato vittima di questo sistema delle correnti. La riforma va fatta per liberare i magistrati perbene dal ricatto della carriera».

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Sul sorteggio esprime assenso anche Andrea Reale, rappresentante del Gruppo Art. 101 presso il comitato direttivo centrale dell’Anm. «È una nostra convinzione da tempo immemore», sottolinea, «che non vogliamo rinnegare. Sugli altri punti della riforma, siamo invece schierati col no». L’associazione Art. 101 tuttavia non farà “campagna elettorale”. «Abbiamo lasciato liberi i colleghi di votare secondo coscienza. Non condivido iniziative di tipo politico troppo invasive». Anche da parte dell’Anm, di cui è membro. «Forse non è stato opportuno costituirsi in un comitato referendario. Si poteva svolgere attività di tipo culturale senza entrare nell’agone politico». Ma ormai è troppo tardi.