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Francesca Mariano, la giudice antimafia nel mirino delle cosche

Un'altra intimidazione colpisce il Gip di Lecce: una testa di capretto mozzata sulla tomba di suo padre. Solidarietà di Mantovano, rafforzata la scorta
di Simone Di Meomercoledì 5 novembre 2025
Francesca Mariano, la giudice antimafia nel mirino delle cosche

3' di lettura

La mafia pugliese non molla. Ancora una minaccia alla gip del Tribunale di Lecce, Francesca Mariano. Questa volta l’intimidazione ha il sapore acre della profanazione familiare: una testa di capretto mozzata, infilzata da un coltello, è stata depositata sulla tomba del padre della magistrata, nel cimitero di Galatina. A fare la macabra scoperta è stata lei stessa, in un contesto che non ha più nulla di episodico ma appare ormai come una strategia sistematica di pressione contro chi amministra la giustizia in una delle aree più delicate del Meridione. Giorni di paura, dentro un clima avvelenato.

Non è la prima volta che Francesca Mariano finisce nel mirino. Da oltre un anno vive sotto protezione. Nel febbraio 2024, qualcuno le fece trovare davanti casa un’altra testa di capretto, sporca di sangue, con un grosso pugnale da macellaio piantato nella carne. Accanto, un messaggio essenziale quanto minaccioso: «Così». Otto mesi più tardi, in pieno ottobre, all’interno dell’aula di udienza, venne rinvenuta la sua foto – ritagliata da un giornale locale – con una bara nera disegnata intorno, sormontata da croci.

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SOLIDARIETÀ
I vertici istituzionali non sono rimasti in silenzio. Palazzo Chigi, attraverso una nota ufficiale, ha fatto sapere che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, «ha sentito telefonicamente il prefetto e il questore del capoluogo salentino», chiedendo «loro di valutare ogni misura di sicurezza possibile, pur essendo l’attuale dispositivo tutorio già al massimo livello». Mantovano ha poi «contattato la giudice Mariano, alla quale ha riconfermato l’altissima considerazione di Palazzo Chigi per il suo operato».

Anche dal Parlamento si è levata una voce netta. Il deputato di Fratelli d’Italia e componente della Commissione Antimafia, Saverio Congedo, ha dichiarato: «Sono certo che lo Stato dimostrerà la sua presenza e garantirà alla dottoressa Mariano, come peraltro già sta facendo, tutte le misure di sicurezza necessarie per la sua incolumità. Chi combatte la mafia con coraggio non sarà mai lasciato solo».

Quello che si sta consumando nel Salento è qualcosa di più profondo di una semplice sequela di minacce personali. È l’indizio tangibile di una criminalità organizzata che non si è mai rassegnata all’azione giudiziaria, e che tenta di alzare il livello dello scontro usando l’arma del terrore. Lo dimostra anche quanto accaduto a un’altra figura di primo piano della giustizia leccese, la pm della Direzione Distrettuale Antimafia, Carmen Ruggiero.

A fine luglio 2024, la Ruggiero ha rischiato di essere uccisa durante un interrogatorio all’interno del carcere di Lecce. A rivelarlo è stato lo stesso detenuto protagonista del fatto, Pancrazio Carrino, aspirante collaboratore di giustizia, che in un verbale di sei pagine raccolto nel carcere di Terni dalla Procura umbra ha ammesso di aver pianificato un’aggressione ai suoi danni. «Ricordo la disposizione dei presenti: c’era una signora al centro che era il pm, alla sua destra il tenente dei carabinieri di San Vito dei Normanni, l’avvocato d’ufficio e altre persone di cui non ricordo bene», si legge nelle carte giudiziarie. «Ero seduto davanti al pm e tenevo sotto controllo il tenente per capire se mi trovavo a una distanza sufficiente per poter agire contro il pm tagliandole la giugulare senza essere bloccato».

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IL PIANO
Il piano, secondo quanto dichiarato dallo stesso Carrino, prevedeva un’aggressione rapida e letale. Ma qualcosa non ha funzionato. Il tenente dei carabinieri, insospettito, ha deciso di perquisire nuovamente Carrino al ritorno dal bagno, scoprendo che l’uomo nascondeva un’arma negli slip. La tragedia è stata evitata per pochi istanti.

Da allora, anche la pm Ruggiero è sotto tutela rafforzata. Era stata proprio lei, infatti, a far arrestare Carrino pochi giorni prima dell’interrogatorio. Ed era stata proprio la gip Mariano a firmare i 22 provvedimenti restrittivi contro il clan Lamendola-Cantanna, tra i principali indiziati perla rete di minacce che ha colpito in parallelo i due magistrati. Una coincidenza che, nei corridoi della giustizia, nessuno considera casuale.

Oggi Francesca Mariano viaggia su un’auto blindata, protetta da un presidio che le consente di continuare a svolgere la sua funzione, ma che racconta anche quanto sia cambiato il volto della Puglia giudiziaria. Non più terra marginale, ma campo strategico dove la mafia locale si sente accerchiata da sentenze, ordinanze e processi che ne minano il potere e il controllo territoriale. E lei? Nessuna parola fuori posto, nessun atteggiamento da eroina, nessuna aspirazione al martirio a reti unificate. Solo lavoro, serietà e silenzio. Un magistrato che fa onore alla toga.

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