Libero logo

L'Anm scopre che è un errore politicizzare il dibattito

di Daniele Capezzonesabato 15 novembre 2025
 L'Anm scopre che è un errore politicizzare il dibattito

3' di lettura

Sì, decisamente non può esserci altra spiegazione valida: qualcuno, fra noi e il dottor Cesare Parodi, l’autorevole presidente dei magistrati associati nell’Anm, dev’essere vissuto all’estero negli ultimi trent’anni. Solo così può essere letta e contestualizzata la bella intervista di ieri alla Stampa, nella quale il dottor Parodi, interrogato da Alessandro De Angelis, ha opportunamente preannunciato il suo passo indietro rispetto a un faccia a faccia televisivo sul referendum con il ministro Carlo Nordio. E con quale ragione? Tenetevi forte: «Non vado al confronto con il ministro per non politicizzare il dibattito».

E così, leggendo il quotidiano torinese, ieri mattina, c’era quasi da strabuzzare gli occhi. Perché la risposta - va detto - è corretta, direi quasi ineccepibile, da applausi. Il presidente dell’Anm si rende conto (benvenuto!) di come un confronto “uno contro uno” con il Guardasigilli renderebbe lui - rappresentante sindacale dei magistrati - un soggetto politico, un contraltare del governo, con ciò mostrando plasticamente agli italiani la perdita di neutralità politica e di imparzialità delle toghe. Molto bene, quindi.
E tuttavia - ecco il guaio, anzi il dilemma - delle due l’una.

O il dottor Parodi è vissuto all’estero dal 1994 a oggi, e da lì qualcuno gli ha precluso la lettura dei giornali italiani oltre che l’accesso ai media audiovisivi: in questo caso l’autorevole magistrato non ha assistito a trent’anni di sconfinamenti e direi tracimazioni, di uso politico della giustizia, di governi caduti o minacciati a suon di inchieste anche solo preannunciate tramite avvisi di garanzia. Per non dire del controllo ferreo che l’Anm ha esercitato sul Csm, assoggettando un organismo istituzionale. O dei mille casi in cui i magistrati, travolgendo il principio della tripartizione dei poteri, hanno preteso di invadere il terreno del governo e del parlamento, contendendo agli esecutivi e alle maggioranze parlamentari il diritto-dovere di determinare la politica della giustizia.

Quante norme penali, da almeno sei lustri, sono state contestate sul nascere, come se le Camere non potessero agire senza il permesso dei magistrati? Quante norme in materia di immigrazione sono state oggetto di interventismo oggettivamente a sfondo politico della magistratura, addirittura con un ministro messo sotto processo (lo è tuttora, si tratta di Matteo Salvini) per atti legittimamente compiuti nell’esercizio delle sue funzioni? E quante volte abbiamo visto magistrati comiziare in tv, intervenire in programmi ed eventi pubblici, rivolgersi direttamente al paese, ammonire politici “sgraditi”, agire come se fossero attivisti e militanti di una causa politica? La stessa nascita del comitato per il No con un impegno diretto dell’Anm cos’era se non una contrapposizione frontale con un governo e una maggioranza?

E allora - insisto - delle due l’una. O qualcuno è vissuto all’estero ignorando ciò che accadeva entro i nostri confini nazionali, oppure - ipotesi suggestiva - il passo indietro televisivo del dottor Parodi è un benedetto inizio di autocritica. Un impegno- vorrei augurarmi ingenuamente - a impedire che l’anomalia italiana prosegua anche in futuro. Un preannuncio- a questo punto - di un messaggio che il capo dell’Anm potrebbe rivolgere ai suoi associati mettendo in discussione, con equilibrio ma anche con sincera autoanalisi, l’andazzo degli ultimi tre decenni: il correntismo aggressivo, la politicizzazione della magistratura, la sistematica contrapposizione ai governi di centrodestra. Dite che sono proprio ingenuo a immaginare un secondo scenario di questo genere? Forse sì.

Qualche malizioso, da ieri, immagina una terza spiegazione possibile, di pura tattica mediatica riassumibile in questi termini: evitare il faccia a faccia con Nordio (esposizione eccessiva e rischio di un esito non brillante: un confronto diretto, si sa, può andar bene o male, non ci sono mezze misure), e invece contare sul fatto che il grosso dei giornali e la quasi totalità dei grandi salotti televisivi siano già poderosamente orientati a favore della campagna del No. A quel punto, perché esporsi? Perché sporcarsi la camicia?

Meglio lasciare che i conduttori e gli opinionisti ostili al governo e alla riforma (la stragrande maggioranza dei “faccioni” televisivi) “massaggino” gli italiani per sei mesi. Per ora i sondaggi sono bruttini o addirittura bruttissimi peri giustizialisti, ma un semestre di tv a senso (quasi) unico potrebbe raddrizzarli. E senza neanche lasciare impronte digitali troppe vistose. Dite che il mio amico malizioso si sbaglia?