Chi contesta la riforma della giustizia e sostiene che la separazione delle carriere sia una mossa del governo per punire i magistrati o addirittura per «sottomettere i pm al potere esecutivo», dovrebbe chiedersi perché ci sono così tante toghe a favore del sì. Fra i 33 soci fondatori del maxi-comitato “Si Riforma” non c’è infatti solo Alessandro Sallusti, autore del “Sistema” e Lobby & Logge e oggi in teatro con il monologo “Pregiudicato”. Né soltanto Nicolò Zanon, già vicepresidente della Corte costituzionale e docente di Diritto costituzionale.
C’è Luigi Salvato, procuratore generale emerito della Corte di Cassazione, in magistratura dal 1980, membro di numerose commissioni ministeriali di studio su problemi ordinamentali della giustizia e già segretario generale del Csm. C’è Giacomo Rocchi, che è stato procuratore a Siracusa, giudice al tribunale di Firenze ed è presidente di sezione penale della Corte di Cassazione. C’è Alfonso D’Avino, attuale capo della procura di Parma dopo avere lavorato in quella di Napoli, di cui è stato anche procuratore aggiunto con una vasta esperienza da titolare di inchieste sulla camorra e sui reati di corruzione. Tra i fondatori di “Si riforma” c’è un altro procuratore in servizio: Giuseppe Capoccia, esperto di indagini sui crimini commessi dalla Sacra Corona unita, applicato alla Dia, con un passaggio da direttore dell’Ufficio Studi al ministero della Giustizia, prima di tornare al sud, dalla Calabria a Lecce.
Di lotta alla camorra e a Cosa Nostra ha trattato per tutta la sua carriera anche Paolo Itri, che nel 2008 da pm ottenne la condanna all’ergastolo per Totò Riina e nel 2023 è stato nominato sostituto procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo e presidente di sezione della Corte di Giustizia tributaria di Napoli. Ma la lista prosegue con Rosita D’Angiolella, consigliere di Cassazione dal 2018, Ettore Manca, membro del Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa nonché presidente del Tar di Lecce e Raimondo Orrù, viceprocuratore onorario al vertice di Federmot, la federazione dei magistrati onorari di tribunale. Poi ci sono insigni giuristi, professori di Diritto, come il prorettore vicario dell’Università degli Studi Europea di Roma Alberto Gambino, avvocati penalisti e civilisti (c’è il presidente del Consiglio nazionale forense Francesco Greco) e docenti. Tra i soci fondatori pure due componenti laiche del Csm, Isabella Bertolini e Claudia Eccher e poi gli accademici Mauro Paladini, Tommaso Frosini, Emanuele Bilotti, Mauro Ronco: tutti con una vasta esperienza nel campo giuridico.
Ecco perché è falso sostenere che questa riforma della giustizia è contro la magistratura. Come è falso, ha tuonato Sallusti in un video, che il giudice Paolo Borsellino fosse contrario alla separazione delle carriere tra giudici e pm. «Una bufala accertata e documentata», ha detto il portavoce di “Si riforma” chiedendo all’Anm di rimuovere un video di Corrado Formigli dalla pagina social del sindacato delle toghe. «Una citazione inventata che continua a essere utilizzata in una campagna referendaria che dovrebbe informare i cittadini», ha detto. Il Comitato a difesa della Costituzione e per il no al referendum ha provato a replicare.
Ma anche un ex pm lontano dal centrodestra quale Antonio Di Pietro ieri è sceso in campo per dire sì alla riforma. Il simbolo di Mani Pulite a Napoli ha presentato un altro comitato per il Sì, “Giustizia senza confini – Italiani nel Mondo per il Sì al referendum”, coordinatore è Andrea Di Giuseppe (Fdi), eletto nella circoscrizione Estero. «Come magistrato, come poliziotto, ma anche come testimone, parte lesa, parte civile, indagato e imputato, mi sono reso conto di una cosa: ci si sente più tranquilli quando si entra in un’aula di giustizia sapendo che il giudice è realmente terzo», ha detto Di Pietro che poi ha invitato Nicola Gratteri a un confronto pubblico sul referendum.




