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Perché è giusto parlare dei morti per crisi

C'è chi invita a smorzare «per non favorire l'emulazione». Ma il silenzio tradisce le vittime

Martino Cervo
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È giusto, è pericoloso, è corretto, raccontare su giornali e tv alle storie dei «suicidi economici»? È responsabile dar conto dei numerosi episodi di contestazione ed esasperazione, talvolta inaccettabilmente violenta, contro sedi e dipendenti di Equitalia? Da giorni su questi due fenomeni di cronaca è in corso un dibattito su legittimità e le modalità di trattamento e «confezionamento» delle notizie. Sulla Stampa, il direttore Mario Calabresi ha messo in guardia dal «pericolo di stimolare un effetto emulazione» che può derivare, per stare al suo esempio, da una modalità aggressiva ed esasperata di presentare una serie di suicidi senza inquadrare il «trend» in un contesto statistico che ne restituisca al lettore una rappresentazione meno distorta e strumentale. L'auspicio è sacrosanto, anche se neppure la statistica ha l'ultima parola: è vero che in Italia ci sono sempre stati suicidi dettati da fallimenti personali, crolli improvvisi della propria azienda, errori economici che paiono irrimediabili, colpi di sfortuna. Ma è pure vero che imprenditori che si ammazzano per contenziosi col fisco o che fanno del loro gesto un grido pubblico, testimoniano una deriva inedita che sfugge alla statistica. È giusto accostare una riflessione sulle crude dimensioni del fenomeno, onde precisare l'impatto emotivo? Sì, come è stato giusto farlo rispetto a grandi paure come l'aviaria: se ne può perfino fare un genere «controgiornalistico» di indubbio effetto e di consolante virtù civica. Ma la sensazione è che l'appello alla «responsabilizzazione» a non «pompare» troppo certe storie per non turbare il popolo bue finisca più o meno volontariamente per produrre un effetto-sordina anche politico, con la conseguenza di tacere anche del problema (l'insostenibilità fiscale) che di certi drammi è quantomeno concausa. Più sottile è l'argomento su cui poggia la tesi «contestualizzante»: quello, in fondo, per cui esisterebbe una narrazione «neutra» che, applicando logica e statistica, rifletta un pezzo di mondo in maniera asettica e inappuntabile. Purtroppo o per fortuna, mettersi d'accordo su simili criteri è operazione ardita. E ogni articolo, anche il più corretto e completo, è selezione e manipolazione. Meglio raccontare, forse, sapendo di essere condannati a qualche forma di «forzatura»: con questo spirito Libero ha voluto raccogliere le storie dei suicidi, spesso derubricate a brevi di cronaca. E continuerà a farlo: se in passato si è taciuto, fu allora l'errore. Non è spettacolarizzazione, così come non lo è dare conto degli (inaccettabili) assalti a Equitalia: anche perché l'invito a non sovraesporre le proteste arriva da chi fa i blitz  a Cortina e al carnevale di Venezia vantandosi dei risultati in comunicati ironici. di Martino Cervo

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