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Ecco i cinque motivi per scommettere ancora sull'euro

La Banca centrale svizzera aumenta gli acquisti della moneta unica. Giganti come Wells Fargo e Procter&Gamble emettono per la prima volta bond demoninati nella nostra valuta

Lucia Esposito
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di Giuliano Zulin Tutti a dire che l'euro ha le ore contate, che salterà, che assisteremo al più grande crac della storia... Forse accadrà, nessuno conosce il futuro. Ma se guardiamo al presente, sta succedendo il contrario: la moneta unica è più che in salute.  Non ci credete? Chiedetelo agli svizzeri. Si dà   il caso che le riserve di valuta straniera della Confederazione Elvetica abbiano raggiunto un nuovo massimo storico a luglio, arrivando a un controvalore espresso in moneta locale di 406 miliardi di franchi (o 419,7 miliardi di dollari) da 365 miliardi di franchi a giugno. Per il Paese si tratta del terzo mese consecutivo di aumento delle riserve in valuta straniera (soprattutto euro) e il trend è da ricondurre alla politica di interventi sul mercato valutario per tenere artificialmente debole il franco svizzero. Per impedire che il franco si rafforzi scendendo sotto quota 1,20 euro, la banca nazionale sta infatti acquistando ingenti quantità di euro. Capito? Quindi, o a Berna sono tutti impazziti oppure si fidano ancora della moneta europea. Si dirà, gli svizzeri hanno un motivo contingente per comprare la divisa unica... Può essere, ma allora perché due pesi massimi americani, del calibro di Wells Fargo e Procter & Gamble hanno collocato due giorni fa titoli denominati nella valuta comune per la prima volta rispettivamente in 4 e 5 anni? Il gruppo bancario che vede come principale azionista Warren Buffett, l'oracolo di Omaha, ha offerto titoli a 10 anni per 1,5 miliardi di euro, mentre il colosso dei prodotti per l'igiene e la salute ha invece piazzato sul mercato titoli a 10 anni per un miliardo. Possiamo anche  non entusiasmarci ma la più grande azienda del mondo non può permettersi di «giocarsi» un miliardo, anche se chiude l'ultimo trimestre con  3,63 miliardi di dollari.  Per dirla come Monti, viene da pensare che  siano tuttavia gli operatori di mercato che non capiscono la bontà degli sforzi fatti dall'Italia, in primis, e dagli altri Paesi in difficoltà. Eppure sono proprio gli investitori europei a restare fiduciosi sulla capacità dell'eurozona di far fronte alla pressione in atto e di rimanere intatta. Secondo l'ultimo  rapporto trimestrale dell'agenzia Fitch  solo il 5% degli investitori crede in uno scenario finale in cui ci sarà un break-up  - una rottura - di ampia portata dall'area comune. Un altro 9% pensa invece che vi saranno default sul debito multipli ma non ritengono che questi eventi provocheranno una rottura dell'eurozona. Al contrario la maggioranza, il 33%, ritiene che si arriverà a un'unione fiscale come da impegni presi a giugno dai vertici Ue. Le opinioni non differiscono di molto da quelle emerse dal rapporto dello scorso ottobre a indicazione di come, pur a fronte di continue tensioni, rimanga negli investitori dell'eurozona una fiducia di fondo circa la bontà del progetto comune. A questo punto la stessa Fitch ribadisce  la propria convinzione che una completa disgregazione dell'eurozona rimanga altamente improbabile perché avrebbe costi altissimi e perché l'impegno politico a conservare l'unione politica e monetaria rimane forte. «Tuttavia - conclude l'agenzia di rating - la severità della crisi del debito ha dimostrato che occorrono riforme fondamentali, volte a creare un'unione fiscale, politica e finanziaria più profonda, per rendere l'eurozona più sostenibile». Alcune di queste riforme, osserva ancora l'agenzia americana, sono già state varate e stanno venendo attuate in maniera graduale, «ad esempio il fiscal compact». Uno degli strumenti della futura unione sono certamente i cosiddetti fondi salva-Stati: l'Efsf e l'Esm, che dovrebbe partire a breve. Su questi due soggetti se ne sono dette di tutti i colori. Molti sostengono che non risolveranno i problemi e che non sono credibili. Ok, ma allora c'è qualcosa che non va nella comunicazione. Perché, per dire, l'Efsf ha venduto tre giorni fa bond con un tasso interesse negativo. Sì, negativo, come gli ottimi tedeschi. Più precisamente ha emesso sul mercato titoli a tre mesi per 1,431 miliardi a un tasso di -0,0217 contro lo 0,118% registrato nell'asta dello scorso 3 luglio. Forti le richieste che hanno superato il quantitativo offerto di 3,2 volte, contro le 2,3 volte dell'asta precedente. Come dicevamo, sono solo indizi, nemmeno il potente Mario Draghi sa dove come finirà la tragicommedia europea. Di certo, se l'euro fosse davvero moribondo non sarebbe a 1,22 dollari... Il fatto è che «l'eurozona è in uno stato di confusione, ma i suoi fondamentali continuano a essere solidi», ha sottolineato pochi giorni fa l'ad di Intesa Sanpaolo, Enrico Cucchiani: «I leader politici   stanno gradualmente sviluppando consapevolezza dei seri limiti dell'attuale governance economica e si stanno timidamente impegnando per realizzare l'infrastruttura necessaria: unione bancaria, fiscale, politica». Un pensiero simile a quello del tedesco Otmar Issing,  ex capo economista della Bce: «L'euro in sé non ha bisogno di esser salvato. È la stabilità dell'euro e dell'area euro che deve esser salvata».  Dipende tutto dai politici. Peccato che quelli germanici non capiscano: ora vogliono fare un referendum sull'eurozona.    

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