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Repubblica contro FattoLa guerra di cartamanda sinistra in tilt

Il giornale di Padellaro, per rubare copie al rivale, attacca Napolitano. Barbapapà lo difende, ma rischia grosso

Matteo Legnani
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di Giampaolo Pansa Esiste davvero un duello tra Il Fatto quotidiano e Repubblica? In apparenza no. C'è una grande disparità di forze tra il giornale della ditta Antonio Padellaro & Marco Travaglio e quello guidato con mano ferrea da Ezio Mauro. Tuttavia è indubbio che stia accadendo qualcosa alle due testate. Costrette a un confronto senza precedenti.  Non varrebbe  la pena di parlarne se la faccenda riguardasse soltanto il Fatto e Repubblica. I giornali si occupano troppo di giornali, un argomento di bottega che di solito annoia i lettori. Ma in questo caso l'affare è assai più complesso. E rischia di provocare effetti sorprendenti nel caos della sinistra italiana. Con la discesa in campo di forze inedite. Come il Movimento 5 Stelle e la Fiom, il sindacato dei meccanici Cgil.  Il Fatto nasce alla fine del settembre 2009 per iniziativa di un gruppo di giornalisti che vogliono conquistarsi un posto nel teatro dei media italiani. Il successo è immediato. Lo spazio viene trovato, non grandissimo, però stabile: fra le 70 e le 80 mila copie vendute. Il direttore è Padellaro, ex di testate diverse: Corriere della sera, Espresso, Unità. Ma la star del giornale è Travaglio. È un giornalista giovane, classe 1964, con una mostruosa capacità di lavoro e dedito a un giustizialismo totalitario.  Il suo motto recita che i magistrati hanno sempre ragione. Se poi sono magistrati d'accusa la loro ragione raddoppia. La teoria di Marco ha un connotato religioso. E lui la predica ovunque. Nei suoi editoriali quotidiani, nella rubrica che l'Espresso gli ha offerto, nelle trasmissioni televisive di Michele Santoro.   Qualcuno si domanda se al Fatto conti più Padellaro o Travaglio. Però è un quesito accademico perché fra i due esiste un'intesa senza incrinature apparenti. Tuttavia il potere di Marco non ha rivali. Ne sa qualcosa uno dei fondatori del quotidiano, Luca Telese, costretto a levare le tende perché ha osato mettersi contro la star del Fatto. Del resto se Travaglio decidesse di emigrare al New York Times, per Padellaro sarebbero cavoli amari.  Ma siamo in presenza di un rischio molto teorico. Antonio e Marco filano d'amore e d'accordo. La stagione iniziale del Fatto si rivela fortunata. È un caso unico in Italia di un giornale nato per compiere una sola missione: mandare a casa Silvio Berlusconi. L'assalto di Travaglio è senza quartiere. Il leader del centrodestra viene straziato anche con il ricorso a soprannomi corrosivi: Cainano, Bellachioma, Banana, Al Tappone, BerlusGheddafi. Alla fine il Cavaliere è disarcionato, non tanto dal Fatto, bensì dai suoi infiniti errori, pubblici e privati.  Siamo nel novembre 2011. A quel punto il destino vuole che, insieme al Cainano, cada anche la vendita del Fatto. Quante copie perde dopo la scomparsa del nemico? Difficile saperlo con certezza, ma pare che non si tratti di quisquiglie. Urge inventarsi un altro avversario da distruggere. Il Fatto prende di mira il nuovo premier, Mario Monti, e il suo governo tecnico. Ma è un bersaglio sul quale tirano anche altri giornali. Inoltre risulta difficile mobilitare contro i professori le stesse folle che volevano il Berlusca appeso a piazzale Loreto.  A questo punto entra in scena l'intelligenza strategica di Antonio & Marco. Senza ricorrere a nessun mago del marketing, mettono nel mirino il bersaglio numero uno in Italia: Giorgio Napolitano. È il presidente della Repubblica, ma viene subito indicato come il fellone che protegge i segreti della presunta trattativa fra lo Stato e la mafia. E per questo losco obiettivo ha deciso di mandare al tappeto i pubblici ministeri di Palermo. A cominciare dall'eroe che li rappresenta tutti: Antonio Ingroia, buon amico e  compagno di vacanze di Travaglio.  Arrivati a questo punto, qualcuno si domanderà: ma che cosa c'entra Repubblica nella guerra del Fatto contro Napolitano? La connessione appare in tutta evidenza domenica 19 agosto. Quando Eugenio Scalfari si scatena da par suo contro un articolo pubblicato due giorni prima dalla stessa Repubblica. Scritto da un illustre collaboratore del giornale di Ezio Mauro e cocco del Fatto: Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Corte costituzionale. Un'eccellenza che rinfaccia a Napolitano di essere diventato «il perno di un'intera operazione di discredito, di isolamento morale e intimidazione di magistrati».  È su questa diatriba tra grossi calibri sino a ieri della stessa parrocchia che va in frantumi il mito di Repubblica come giornale partito della sinistra, l'unico autorizzato a parlare al popolo laico, democratico e antifascista. A testimoniarlo non c'è soltanto la veemenza di Barbapapà contro uno dei santoni del neo-azionismo subalpino, la stessa congrega di Mauro. C'è anche la subdola manovra del Fatto che scava il terreno sotto i piedi di Repubblica. Mobilitando tutta la bella anzianità che sino a ieri stava agli ordini del giornale dell'ingegner De Benedetti.  Lo documentano gli appelli affidati al Fatto anche da illustri predicatori repubblicani. Come la Barbara Spinelli, per citare la pasionaria più titolata. Ma per lei c'è un'attenuante: è sempre stata in adorazione di Travaglio. Di lui ha detto: «Senza Marco ci sarebbe molto buio nella storia italiana che si sta facendo in questi anni. Molti lo sanno: in Italia, in Europa, negli Stati Uniti. Alcuni non lo sanno ancora, ma se vogliono una lampada cominceranno a leggerlo presto».  Adesso che cosa accadrà? Proviamo a immaginarlo. Scalfari, che con l'età è diventato sempre più cocciuto e vendicativo, seguiterà a difendere Napolitano, e di questo come cittadino sono contento. Altri eminenti cervelloni di Repubblica daranno a Eugenio repliche feroci. Ezio Mauro avrà un arduo rientro dalle ferie perché dovrà mediare fra gli opposti estremismi che si ritrova in casa. Tuttavia non gli risulterà facile perché la guerra di corsa scatenata dal Fatto non gli darà tregua. Morale della favola? La spocchia di Repubblica era arrivata alle stelle. Ma le stelle talvolta cadono. E non soltanto nella notte di San Lorenzo. Che un giornale di media portata osi rubare il mestiere al gigante di largo Fochetti, strappandogli qualche copia, Mauro non lo accetterà mai. Non è da escludere che decida di far scorrere il sangue. Sarà quello di Scalfari? Penso di no, però non si sa mai come si concludono certe guerre di carta.

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