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Processo Ruby, Berlusconi arrivato in Tribunale

Nicoletta Orlandi Posti
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Accolto da una folla di giornalisti, Silvio Berlusconi è entrato nell'aula del tribunale di Milano - qui la gallery - dove stava per iniziare l'udienza del processo Ruby in cui è imputato per concussione e prostituzione minorile. L'ex premier non ha voluto dire nulla prima di entrare nell'aula dove ha letto una sua memoria non prima di aver stretto la mano all'accusa rappresentata da Ilda Boccassini. "Si è molto favoleggiato su queste serate in casa di un privato cittadino", ha esordito l'ex premier. Si svolgevano in una grande sala di pranzo con tutti gli ospiti insieme. Io al centro della tavolo monopolizzavo l'attenzione parlando di politica, di sport, di attualità. Dopo cena si cantava e si suonava. C'era Mariano Apicella che si esibiva nel suo fantastico repertorio di canzoni napoletane. Cantavo anche io".  L'autodifesa del Cavaliere: leggi tutto il discorso Nessuna scena di carattere sessuale alle cene di Arcore - A questo punto il giudice ha interrotto il Cav. Gli chiede se vuole depositare la memoria, per facilitarlo. Ma l'avvocato Ghedini dice no: "sono solo appunti". Berlusconi prosegue il racconto precisando: "Posso escludere, con assoluta tranquillità, che si siano mai svolte scene di natura sessuale a casa mia". Riguardo all'espressione bunga-bunga il Cav spiega che "nasce da una battuta che ho ripetuto più volte e che è stata riportata anche dalla stampa''. ''Le serate si svolgevano in sala da pranzo", ha puntualizzato, "io monopolizzavo la conversazione parlando di calcio, sport, politica e spesso cantavo insieme ad Apicella con il suo fantastico repertorio di canzoni napoletane e di volta e in volta altri cantanti professionisti''. Berlusconi ha parlato anche del dopo cena, quando ''alcune volte si scendeva nella discoteca dei figli. Ma io non ho mai ballato''. Insomma, secondo Berlusconi, sui presunti festini di Arcore ''si è molto favoleggiato con un'intrusione nella vita di un cittadino privato che non ha precedenti''. "Ipotizzare che volessi tenere segreto il contenuto di quelle serate e risibile - ha aggiunto il leader del Pdl - la mia vita privata è sempre stata oggetto di spasmodica attenzione mediatica, con pubblicazione di intercettazioni e reportage fotografici che violavano la mia privacy. Per questo è irragionevole collegare la mia telefonata in questura al timore che Ruby raccontasse qualcosa sul contenuto di quelle serate". Berlusconi ha anche lamentato che "si è ironizzato su queste serate con intenti diffamatori e intrusioni nella mia vita privata di cittadino senza precedenti. Durante le serate io monopolizzavo la conversazione parlando di politica, di calcio, di gossip, e mi divertivo a confezionare battute e a cantare le canzoni del mio repertorio giovanile". La triste storia di Ruby - Poi l'ex premier racconta la storia di Ruby Rubacuori con la quale "non ho mai avuto alcun tipo di rapporto intimo". Comunque "Tutti avevamo l'assoluta convinzione che Ruby fosse maggiorenne, sia perchè diceva che aveva 24 anni, sia per il suo aspetto fisico, sia per il suo modo di fare", puntualizza dopo aver raccontato la triste storia della ragazza portata a casa sua da Lele Mora. Quella sera a cena Ruby disse a tutti di essere la figlia di una cantante egiziana "ci fece vedere anche un video" e parente della famiglia del presidente egiziano Mubarak. "Ci raccontò di essere stata buttata fuori di casa dal padre perchè intendeva convertirsi alla religione cattolica. Ci fece vedere anche una ferita sul capo causata dall'olio bollente che il padre gli aveva buttato addosso. Ruby scappò dall'Egitto e arrivò in Italia. Per un po' di tempo stava con un amica, ma poi litigarono. La sua storia", continua Berlusconi, "commosse tutti gli invitati alla cena. Io le offrii dei soldi e le assicurai il mio aiuto".  Voleva evitare un incidente diplomatico - Il Cavaliere ha ammesso di aver telefonato personalmente alla questura di Milano nella notte tra il 27 e il 28 maggio 2010, ma in quell'occasione, sostiene,  ''mi sono limitato a chiedere informazioni''. La decisione di contattare la Questura di Milano mi fu suggerita dall'onorevole Valentino Valentini e da un caposcorta che diceva che poteva prendere contatti con un funzionario''.  L'ex capo del governo ha quindi negato di aver abusato della sua funzione istituzionale per ottenere il rilascio di Ruby, giovane marocchina allora minorenne fermata poche ore prima dagli agenti della squadra mobile per furto. ''E' evidente -ha detto Berlusconi in aula - che non avevo nessun interesse a chiedere alla questura alcunchè di illecito''. Perchè facendo quella telefonata ''non ho mai svolto nessuna pressione sui funzionari della questura di Milano, ma mi sono limitato a chiedere informazioni'' su Ruby nella convinzione che fosse parente del premier egiziano Hosni Mubarak. Perciò ha evidenziato ancora Berlusconi, ''ipotizzare che io volessi mantenere il segreto sullo svolgimento di quelle serate ad Arcore è risibile. Sui giornali si era già letto tutto sulle mie serate di Roma e di Villa Certosa''. Il Cavaliere di fronte ai giudici, ha quindi ripercorso nei dettagli la trattativa con l'allora presidente libico, Gheddafi, per la liberazione dei cittadini elvetici rimasti in Libia dopo l'arresto del figlio Hannibal in Svizzera. "L'incidente internazionale - ha spiegato - mi aveva occupato a lungo" e per questo "mi venne spontaneo paragonare la vicenda di Ruby a quella di Hannibal e non volevo creare un incidente diplomatico". "Mubarak avrebbe potuto dire 'tu mi avevi parlato di lei e permetti che venga oltraggiata". Berlusconi ribadisce in aula: "Dopo un incontro a Villa Madama con il presidente egiziano "rimasi nel convincimento che Ruby avesse un legame parentale con Mubarak".  La verità su Ruby - Silvio Berlusconi ha raccontato anche di quando, qualche mese dopo la telefonata in questura, "mi chiamò Nicole Minetti e mi raccontò che Ruby era stata identificata, che non era egiziana ma era marocchina e che era minorenne". "La notizia mi lasciò di stucco - ha affermato l'ex premier - e mi resi conto di una sua seconda e falsa identità. Da quel momento ritenni di non dovermi piu' interessare di lei". Berlusconi ha poi spiegato che venne a sapere, più tardi, che, dietro molte insistenze della giovane marocchina, il suo 'tesoriere', il ragionier Pinelli, "diede alcune migliaia di euro a Ruby". Il Cavaliere ha inoltre precisato: "Non ho mai chiesto che la ragazza fosse affidata a Nicole Minetti". Il leader del Pdl  ha sottolineato di aver chiesto alla consigliera regionale di recarsi in Questura a Milano la notte tra il 27 e il 28 maggio 2010, dopo il fermo della ragazza "solo perchè mi era stato detto che vi era un problema di identificazione". Lo sfogo contro i giudici - Infine Berlusconi si è sfogato contro i giudici: "Questo processo è stata una mostruosa operazione di diffamazione per me e le mie amiche". "Nessuna delle mie ospiti", ha aggiunto l'ex premier, "per quanto a mia conoscenza, poteva essere qualificata come una escort". Poi spiega  la sua scelta di non rispondere ai giudici ma di rilasciare dichiarazioni spontanee: "Avrei preferito rendere interrogatorio ma questi 20 anni di accanimento della procura di Milano contro di me non mi ha consentito di farlo. Sono disposto a farmi interrogare da chi pone le domande essendo interessato alle mie risposte". "Sui giornali si legge che questo tribunale ha già deciso la mia condanna, spero che non sia così e che queste illazioni saranno smentite", ha spiegato Berlusconi concludendo le sue dichiarazioni. "Credo ancora - ha proseguito - che in Italia debba esserci la certezza dell'imparzialità dei giudici e per questo ho rilasciato queste dichiarazioni spontanee". Se i magistrati non fossero imparziali, secondo l'ex premier, ci troveremmo in un Paese "incivile e barbaro". Alla fine della deposizione tornano a riecheggiare le parole della discesa in campo pronunciate dall'ex premier il 26 gennaio 1994. Berlusconi ripete in aula: "Credo che in Italia, Paese che amo, il mio Paese, debba esserci ancora, sempre, imparzialità dei giudici". Un incipit che Berlusconi utilizzò per annunciare agli italiani la sua discesa in politica. 

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