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Il piano di Renzi per svuotare le carceri

Nicoletta Orlandi Posti
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Proprio ieri, dalla casa circondariale di Montorio veronese, sono usciti in venti. Ma, secondo le stime della cancelleria penale, entro questa settimana potrebbero essere almeno il doppio i detenuti che beneficeranno dell'ultimo decreto svuotacarceri approvato dal consiglio dei ministri. A lasciare le celle, informa il Corriere Veneto, sono sono soprattutto gli imputati per reati contro il patrimonio (piccoli furti e rapine) e per spaccio di stupefacenti. Ai cancellieri della sezione penale di Verona, provvedimento del giudice di sorveglianza alla mano, non è rimasto che aprire i cancelli del carcere. TRE RIGHE PER USCIRE - Non si contano più gli appelli di Giorgio Napolitano, presidente della Repubblica, per ridurre il sovraffollamento carcerario. Così il governo, lo scorso 20 giugno, ha di fatto messo il timbro sul quinto provvedimento «svuota carceri» in pochi anni. La norma incriminata è contenuta nel decreto legge n.92/2014, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dello scorso 27 giugno ed entrato in vigore il giorno successivo. Il decreto, ufficialmente, reca «Disposizioni urgenti in materia di rimedi risarcitori in favore dei detenuti e degli internati che hanno subìto un trattamento in violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali». Obiettivo: adempiere alle direttive della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo nei confronti dell'Italia nel gennaio 2013, nella quale la Corte aveva imposto l'adozione di specifiche misure riparatorie nei confronti dei detenuti che hanno scontato la pena in una condizione di sovraffollamento. Il diavolo, tuttavia, si nasconde nei dettagli. Ed è quello che è accaduto con il testo in questione. L'articolo chiave è il numero otto: «Modifiche all'articolo 275 del codice di procedura penale». Tre righe per stabilire che «il comma 2-bis» dell'articolo in questione è interamente «sostituito». Questa la nuova formulazione: «Non può essere applicata la misura della custodia cautelare in carcere o quella degli arresti domiciliari se il giudice ritiene che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena». E ancora: «Non può applicarsi la misura della custodia cautelare in carcere se il giudice ritiene che, all'esito del giudizio, la pena detentiva da eseguire non sarà superiore a tre anni». Poche righe che in pochi giorni di applicazione hanno già provocato l'uscita dal carcere di decine di detenuti per effetto della doppia scappatoia - discrezionale - concessa ai magistrati per impedire di riempire le galere. Il giudice, infatti, d'ora in poi non applicherà la misura della custodia cautelare in carcere, né quella degli arresti domiciliari, se intravede per l'imputato la possibilità di ottenere il beneficio della sospensione condizionale della pena. POTERE AL GIUDICE - Non solo. Nel caso in cui, dopo un esame approfondito, il giudice arriva alla conclusione che, al termine del giudizio, la pena detentiva non sarà in ogni caso superiore ai tre anni di reclusione, scattano in automatico gli arresti domiciliari. «Il provvedimento», spiega chi ha seguito da vicino la stesura del testo, «si inserisce nel solco dell'individuazione delle misure alternative al carcere. I casi sono due: o pensiamo che il carcere sia l'unica pena per i detenuti; oppure accettiamo l'idea che le porte dei penitenziari si aprano per i delinquenti più pericolosi. Si tratta di fare una scelta». Adesso la battaglia si sposta in Parlamento. Il decreto, infatti, passerà all'esame dell'aula della Camera a partire dal prossimo 21 luglio. Per le opposizioni, in primis Fratelli d'Italia e Lega, si tratta dell'ennesimo «indulto mascherato». I numeri, tuttavia, sono dalla parte del governo. Forza Italia ha già fatto sapere di essere favorevole alla limitazione dell'uso della custodia cautelare. di Tommaso Montesano

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