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Kabobo, le motivazioni della sentenza: era lucido, uccise per rancore

Eliana Giusto
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Adam Mada Kabobo era lucido quando ha ucciso le sue vittime. In lui è stata rilevata "una determinazione a uccidere che alberga nel sentimento di rancore che lo assediava e non nel soggiacere alle voci". Insomma, Kabobo era in grado di "intendere". Lo affermano i giudici della seconda Corte d'assise d'appello nelle motivazioni della sentenza con cui in sostanza hanno confermato la condanna a 20 anni di reclusione più tre di casa di cura e custodia a pena espiata per Kabobo, il ghanese che l'11 maggio 2013 ha ucciso a picconate Ermanno Masini, Alessandro Maria Carolè e Daniele Carella e ne ha aggredite altre tre, Andrea Carfora, Francesco Antonio Niro e Antonio Morisco. Condotte predatorie - "Se come sostiene la difesa si fosse trattato di finalità patologica perseguita da Kabobo, se costui avesse agito privo di volontà, sostenuto soltanto da impulsi nati, sviluppati e determinati in via esclusiva dalla patologia che s'era impadronita completamente di lui", si legge, "le sue azioni e il suo comportamento non sarebbero risultati in contatto con la mutevole realtà degli eventi che egli ha vissuto nelle due ore che ha impiegato per completare il suo percorso di sangue. Anche le esecuzioni degli omicidi avrebbero assunto modalità diverse; egli avrebbe fatto scempio delle vittime e non avrebbe compiuto le condotte predatorie". Nessuno scempio - Secondo i giudici, il fatto che Kabobo non abbia agito in preda a impulsi non controllabili emerge "dall'osservazione della condotta tenuta dall'imputato e registrata dai filmati dei circuiti di videosorveglianza, dall'esame delle salme delle vittime e dai dati desumibili dall'osservazione specialistica" di Kabobo. "Egli nei filmati non appare in preda ad agitazione psicomotoria; non cerca di nascondersi; non sposta le vittime dal luogo delle aggressioni; si libera della spranga di ferro adoperata all'inizio e impugna un piccone; mette le mani sui fianchi, quasi divertito, quando vede che il Morisco riesce a scamparla riparando dietro al portone e poi riprende la sua strada; focalizza la sua attenzione sul cellulare e sul contenuto delle tasche di Carella non appena si rende conto che costui non è più in grado di frapporre la minima reazione; realizza che sopraggiungono il padre di Carella e il soccorritore e si ferma per riflettere sul da farsi; non fa scempio dei cadaveri, come molto spesso avviene negli omicidi commessi dagli schizofrenici, condotta omicida quella di Kabobo che evidenzia il suo carattere predatorio e di lucidità omicida; fugge alla vista delle Forze dell'ordine perché, come egli afferma, temeva di venire ucciso".

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