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La donna che ha incastrato Rosa e Olindo: vi spiego come ho fatto

Giovanni Ruggiero
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«La avviso: se dice una bugia, io me ne accorgo dal tono della voce». Pericolo scampato, visto che sono dalla parte di chi fa le domande, ma mi chiedo come debba essere complicato vivere insieme a Alessandra Monasta: «Il mio compagno lo sa, ma l' ha presa bene». Vulcanica, fiorentina di nascita ma siciliana di origine, 46 anni, Monasta è perito fonico, un lavoro per il quale non esiste una scuola e neppure un albo professionale. Detta brutalmente, lei passa ore ed ore ad ascoltare "Le vite degli altri", come il protagonista del celebre film ambientato nella Germania est prima del crollo del muro di Berlino. Lei però mette le cuffie su richiesta dei tribunali: ascolta e analizza i suoni di intercettazioni telefoniche, intercettazioni ambientali, testimonianze alle udienze o interrogatori. «Perché la voce - assicura - è un' impronta digitale musicale che dice tutto: ci svela se una persona sta mentendo o se sta dicendo la verità». Il suo lavoro ha contribuito di fatto a risolvere numerosi casi giudiziari. Come si diventa perito fonico forense? «Io ho iniziato per caso. Quando ero studentessa di legge un mio zio notaio mi mandò da una sua collega che era sposata con un magistrato dell' antimafia di Firenze. Facevo la baby-sitter della loro figlia, mi fermavo spesso anche a cena e conobbi così magistrati come Pierluigi Vigna, Gabriele Chelazzi, Giuseppe Nicolosi, Paolo Canessa. Siamo nei primi anni Novanta, quando arrestarono Totò Riina e nel pieno dei processi del mostro di Firenze. Attraverso i magistrati conobbi alcuni poliziotti della Digos che mi proposero questo lavoro perché possedevo le caratteristiche adatte». Quali sono queste caratteristiche? «Intanto un' attitudine all' ascolto profondo, empatico che va oltre al "cosa" mi hai detto. Vuol dire capire il "come", le sfumature dei toni della voce. Poi aiuta avere un orecchio musicale, e questa dote per fortuna non mi manca. Serve anche una approfondita conoscenza tecnologica. Infine bisogna avere cultura e curiosità. Io ho intercettato professori universitari, politici, criminali di ogni specie. Ci sono moltissimi termini che non conosci, per cui bisogna studiare». Cosa fa un perito fonico? «Io intervengo su tre possibili livelli. Se c' è una richiesta di un pm durante le indagini. Questa è la parte che preferisco perché fai un lavoro stile agente 007 e le confesso che io nella vita avrei voluto fare proprio l' agente dei servizi segreti. Oppure se ti chiama un giudice in fase di processo di primo grado e in questo caso sei un perito super partes. In un terzo caso ti può chiamare un gip al termine delle indagini preliminari ma succede più rado». Qual è la parte più complicata del suo lavoro? «Senza dubbio l' attribuzione dell' identità della voce a una persona specifica». Non si può associare banalmente all' utenza telefonica intercettata? «No. Anzi, se sto intercettando il suo numero di telefono o sto facendo una intercettazione ambientale nel suo appartamento, devo sempre attribuire la voce a lei perché lei potrebbe avere prestato il telefono a qualcun altro. Questo riconoscimento non è per nulla semplice perché nella maggior parte delle telefonate una persona non si presenta con nome e cognome. L' associazione tra una voce e una identità è un passaggio delicato, ma anche affascinante». Ma non si sente come quel funzionario della Ddr che invadeva la privacy di sconosciuti? «Beh sì, invadente un po' lo sono. Ma negli anni mi son resa conto di quanto sia utile e prezioso questo lavoro». Come la mettiamo con le telefonate dagli argomenti imbarazzanti? «Potrei scriverci un libro. Ma le tolgo il dubbio: non ho sviluppato alcuna curiosità morbosa. Non mi fa piacere sapere i particolari della vita intima di un intercettato». Siamo tutti intercettati? «No, anzi. Le intercettazioni costano tantissimo, hanno tempi molto stretti, vanno fatte in 15-20 giorni ripetibili e possono partire solo con la firma di due magistrati. Anche per i costi così alti non è vero che siamo tutti intercettati e non è violata la privacy con questa facilità». Succede però che diverse volte brandelli di intercettazioni finiscono sui giornali e sputtanano vite. «Sono vicende gravi. Una persona non è il reato che commette. Un reato, anche se grave, è solo un episodio della sua vita. La colpa a mio parere è soprattutto di chi consegna le intercettazioni, ma anche il giornalista, prima di pubblicare, potrebbe pensare "ma se fossi io l' intercettato come ci starei?". Ci sono notizie che hanno fatto soffrire intere famiglie. Basta vedere il caso di Bossetti che ha scoperto vicende intime, personali relative a se stesso e alla moglie dalla tv". Parliamo dei suoi primi processi: cosa ricorda? «È stato come esordire in serie A giovanissimi: la strage dei Georgofili e il mostro di Firenze. Ho avuto a che fare con Totò Riina e Pietro Pacciani, tanto per capire». Come fa a capire se uno mente? «Servono tantissime ore di ascolto. Oggi, dopo venticinque anni di lavoro, capisco subito dal tono di voce le alterazioni dello stato d' animo. Capisco quando uno è arrabbiato, rilassato o eccitato. Analizzo silenzi, balbettii, cambi di tono. Io faccio una perizia, poi gli elementi vengono interpretati dal magistrato». Quindi al 100% capisce quando uno mente? «Nella vita privata direi di sì. La bugia è un' incongruenza molto chiara tra ciò che viene detto e il come. Capisco subito se il mio interlocutore è concentrato su ciò che mi sta dicendo». Lei è l' incubo di tutte le relazioni private. Monasta ride. «Era vero prima. Ora sono diventata paradossalmente molto più tollerante delle altre donne. Quando una persona parla con me ma pensa ad altro, la becco subito. E chiedo». Mi faccia un esempio. «Il mio compagno mi dice: "ti voglio bene" ma la sua voce è fredda e troppo veloce. Beccato. E lui immancabilmente confessa: "Stamattina ho preso una multa"». Ora rido io. Il suo compagno non potrà mai tradirla. «Me ne accorgerei. Il mio compagno sa che io comprendo quando lui mente. Guardi che non è semplice neppure per me. Ma ho imparato ad accettarlo: se troncassi ogni volta che mi viene detta una bugia dovrei chiudere il 90% delle relazioni». Torniamo al Pacciani: che tipo era? «Molto ignorante, lui come gli altri compagni di merende. Era sicuramente un mostro nel senso che era un rozzo, era un padre che ha mancato di rispetto alla figlia, probabilmente anche un guardone». Colpevole, in base all' analisi della voce? «Sono in difficoltà a rispondere. Da addetta ai lavori potrei dire colpevole di tante cose, non di quelle più gravi per cui è stato processato». Lei ha risolto un aspetto cruciale anche nel processo di appello a Rosa e Olindo, vale a dire la strage di Erba. «Mi ha contattato l' avvocato della parte civile durante l' appello. Andava resa udibile la dichiarazione fatta dal teste chiave, Mario Frigerio, quando si sveglia in ospedale, sotto morfina, con la gola tagliata e indica il colpevole dicendo "Olindo". Le sue parole erano state raccolte con un registratore ambientale ed erano pronunciate con dolore e fatica. Quelle parole, in appello, erano state messe in discussione. Io ho reso udibile questa intercettazione dimostrando che Frigerio pronunciava la parola "Olindo" esattamente in quella musicalità e con quel modo particolare di pronunciare le vocali. Questa mia perizia è diventata decisiva per la condanna». Intercettando i politici, che idea si è fatta di loro? Che la politica è tutto uno schifo? «Li ho ascoltati spesso durante momenti di vita privata e ho scoperto molti lati nascosti. Posso dire che non sono solo furbi e intrallazzoni. Subiscono pressioni indicibili, hanno momenti di difficoltà, di imbarazzo e incertezza. Li ho ascoltati dispiaciuti, in lacrime, schiacciati dalla responsabilità e dalla paura di non essere all' altezza, tanto da non dormirci la notte. Ascoltandoli, si scopre che i politici non sono macchine da guerra. Sono essere umani, con tutte le fragilità più classiche». Immagino di non poterle chiedere nomi. «Immagina bene». Lei capisce sempre dalla voce lo stato d' animo di una persona? «A volte no. Mi è capitato di avere a che fare con persone che non hanno mostrato alcun tipo di emozione. Niente. Anche mentre confessavano un crimine». A chi si riferisce? «Ho osservato Riina da pochi metri. Lui e Brusca fanno veramente paura». Giovanni Brusca, condannato per un centinaio di omicidi, si è pentito. Dobbiamo credergli? «Mettiamola così: un vero pentimento a me arriverebbe attraverso l' analisi del tono della voce. Sennò è solo un accordo». Parlando ora con Brusca lei capirebbe se è davvero pentito? «Non c' è dubbio. Invece all' epoca dei processi credeva che le sue azioni fossero giuste. Brusca ha raccontato di come ha sciolto nell' acido il piccolo Giuseppe Di Matteo senza alcuna emozione, mi creda. Analizzando la voce, ho capito dopo tanti anni che esistono anche le persone cattive, come esistono i biondi, i mori, gli alti e i bassi». Alessandro Milan

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