Acca Larentia 38 anni dopo. Quelle responsabilità che bussano alla porta, scandite dal "presente!"
"Poi una sera di gennaio resta fissa nei pensieri/Troppo sangue sparso sopra i marciapiedi. E la tua generazione scagliò al vento le bandiere/Gonfiò l'aria di vendetta senza lutto, né preghiere". Basterebbe Generazione '78 di Francesco Mancinelli per riassumere i tragici eventi del 7 gennaio 1978 e le loro conseguenze, anche oggi, 38 anni dopo e con qualche polemicuccia sempre dietro l'angolo. Acca Larentia - Fra le tragedie simbolo degli Anni di Piombo, quella di Acca Larentia occupa un posto particolare. Ogni anno, infatti, sono centinaia le persone che partecipano a cortei commemorativi che, malgrado il carattere celebrativo, non mancano di suscitare mal di pancia... Fuoco al Tuscolano - La sera del 7 gennaio 1978, un commando di estrema sinistra esplode una raffica di colpi contro la sezione missina di via dell'Acca Larentia, nel quartiere Tuscolano a Roma. I primi a cadere sono due giovanissimi, gli appena ventenni Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta. Poche ore più tardi, in un momento di tensione fra militanti missini e forze dell'ordine, un carabiniere uccide con un colpo alla testa il diciannovenne Stefano Recchioni. Punto di non ritorno - Per molti, quella sera di gennaio rappresentò il punto di non ritorno: basta politica tradizionale e giù, nell'abisso della guerra civile, con la pistola in tasca e animati dalla logica, folle, di combattere Stato e "compagni", cioè altri ragazzi. Cosa analoga, accadeva intanto dall'altra parte. Una deriva generazionale: fra chi scelse di armarsi, anche i futuri componenti dei NAR, molti quali caduti o costretti a scontare lunghe pene. Nel frattempo, la Vz61 Skorpion usata al Tuscolano firmerà nuovi omicidi, da quelli dell'economista Ezio Tarantelli e dell'ex sindaco di Firenze Lando Conti, a quello del senatore democristiano Roberto Ruffilli (1985-86-88). Ricordare - Come le realtà religiose, anche quelle politiche hanno proprie liturgie. A destra, il ricordo dei caduti è affidato al "presente" mutuato dal mondo militare. E quel braccio destro teso davanti alla sezione di Acca Larentia non manca mai di sollevare polveroni. Il problema non è il saluto romano che si leva una volta all'anno. Le morti degli Anni di Piombo, infatti, hanno un importante potere rievocativo. Ad esempio, quello di ricordare quanta presa ebbero su ragazzi animati da ingenua buona fede le teorie (sconfessate) della Resistenza tradita e dell'antifascismo militante e quelle della lotta al "rosso", espresse da un partito conservatore, chiuso, suonato come un pugile all'angolo e per nulla incline ad aprirsi alle istanze di rinnovamento espresse dai suoi giovani. Dunque, è solo il senso (mancato) di responsabilità a bruciare, non il modo di salutare i morti. Responsabilità che tornano a bussare alla porta, ogni volta che il nome del caduto è scandito dal "Presente!". di Marco Petrelli @marco_petrelli