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Antonio Socci e il Natale: basta sermoni moralistici, fu San Francesco a volere doni e regali

Andrea Tempestini
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Ogni anno a Natale arrivano sermoncini moralistici che deprecano il famigerato “Natale consumistico” e lanciano anatemi contro i regali o rappresentano come colpevole spreco l'abbondanza dei pranzi natalizi. Come sempre a navigare in questo banal grande è anzitutto papa Bergoglio il quale tuona contro la «festa del consumismo commerciale», i «regali inutili» e gli «sprechi superflui». Pensieri superficiali che non trovano riscontro nella grande letteratura spirituale sul Natale di Gesù. Oltretutto - lungi dall'essere un male - la cosiddetta corsa ai consumi natalizi è, dal punto di vista sociale, una vera manna per l'economia del Paese ed ha una ricaduta nell'occupazione. In pratica consente a tante famiglie di lavoratori di festeggiare anch'essi con gioia il Natale (con questi chiari di luna…). Ma poi siamo proprio sicuri che sia l'attuale consumismo ad aver fatto degenerare il Natale in una festa dei doni e nell'abbondanza della tavola? Non sembra, perché il cosiddetto “consumismo” è sbarcato in Italia fra gli anni Sessanta e i Settanta e anche la nozione stessa di “consumismo” probabilmente si va poco lontano: all'America degli anni Cinquanta (penso, ad esempio, all'economista Victor Lebow). Mentre il Natale è una festa che si celebra da duemila anni. È proprio il Natale cristiano in sé ad essere intimamente legato all'idea del dono e all'abbondanza della festa insieme, anche a tavola. Memorabile è l'omelia natalizia di papa san Leone Magno (V secolo): «Non c'è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita, una vita che distrugge la paura della morte e dona la gioia delle promesse eterne. Nessuno è escluso da questa felicità». Quando - negli anni scorsi - mi sono permesso di “affacciare” questa idea, qualcuno mi ha accusato, inorridito, di voler santificare il consumismo capitalistico. Essendo io nato in una casa di minatori - dove abbondava la fede cattolica e non i soldi - credo di sapere per esperienza cosa è la povertà, ma anche cosa è la gioia cristiana del Natale. Del resto lo dimostra una personalità al di sopra di ogni sospetto, uno che di certo non ha legami con il consumismo, il lusso e la ricchezza ed è passato alla storia per aver amato appassionatamente “Madonna Povertà”: san Francesco d'Assisi. Non a caso è proprio colui che ha “inventato” il presepio, è il sublime poeta del Natale, il cantore dell'Incarnazione di Dio. Nel testo che raccoglie le antiche testimonianze di frate Leone e degli altri suoi primi compagni («nos qui cu meo fuimus», noi che fummo con lui) e che va sotto il titolo di “Compilatio Assisiensis” (ne ha curato l'edizione Marino Bigaroni col titolo “La Compilazione di Assisi”) si legge: «Francesco aveva per il Natale del Signore più devozione che per qualunque altra festività dell'anno, perché sebbene il Signore abbia operato la nostra salvezza nelle altre solennità, tuttavia è dal giorno in cui è nato per noi - diceva il beato Francesco - che si operò di salvarci. Ecco perché voleva che a Natale ogni cristiano esultasse nel Signore e che per amore di Lui, il quale ha dato a noi tutto se stesso, fosse largo e munifico con slancio e con gioia non solo verso i poveri ma anche verso gli animali e gli uccelli». L'annuncio del Natale - il Dono supremo che Dio fa agli uomini: Se stesso - fonda in Francesco questa “teologia del dono”, del donare a tutti (animali compresi) per celebrare la nascita di Gesù. Chiara Mercuri - che ha ricostruito la vita del santo su queste testimonianze (il suo libro è “Francesco d'Assisi. La storia negata”) - commenta: «Il Natale deve essere allora il giorno della gioia e dell'abbondanza per tutti. Solo se lo sarà per tutti, allora sarà Natale». E poi spiega come si dava compimento alla volontà di Francesco (un uomo - va ricordato - che ogni anno si sottoponeva a “quaresime” terribili, digiunando per settimane): «Si mangeranno cibi ricchi, rari, di solito assenti dalla mensa dei frati, come la carne, i formaggi stagionati, il vino, l'olio, il lardo e la frutta fresca. Mendicanti, contadini, medici, notai, nobili si uniranno alla mensa dei frati per festeggiare con loro, e le donne faranno portare ai frati e ai poveri che gli vivono accanto torte di mandorle e miele, mostaccioli, frittelle cosparse di acqua di rosa, rotoli di pasta dolce ripieni di mele, di uva, di noci e cannella, e biscotti all'anice e pan pepato». Insomma - conclude la Mercuri - «ognuno dovrà sforzarsi in questo giorno di essere “il Natale” di qualcun altro, senza dimenticare nessuno, nessuna creatura vivente». Francesco arriva fino al punto di voler coinvolgere nella festa e nell'abbondanza anche le sue amate allodole (che - diceva - cantano in cielo la lode di Dio) e tutti gli animali. «Noi che siamo vissuti con Francesco» scrivevano i suoi primi frati «attestiamo di averlo sentito dire più volte: “Se un giorno parlerò con l'imperatore, lo supplicherò che per amore di Dio e per la mia implorazione, emani un editto affinché nessun uomo catturi le sorelle allodole o faccia loro del male. E inoltre, che tutti i podestà delle città e i signori dei castelli e dei villaggi, siano tenuti ogni anno, nel giorno della Natività del Signore, a costringere gli uomini a gettare frumento e altri grani per le vie fuori dalle città e dai borghi fortificati, affinché abbiano da mangiare, soprattutto le sorelle allodole e gli uccelli, in un giorno tanto solenne. E per reverenza verso il Figlio di Dio, che in quella notte la madre adagiò tra il bue e l'asino, ogni uomo, in quella notte, dia abbastanza da mangiare ai fratelli buoi e asini. E allo stesso modo, nella Natività del Signore, tutti i poveri siano saziati in abbondanza dai ricchi”. Come si vede il nostro modo di vivere il Natale (presepio, regali, gesti di carità e solidarietà e tavole imbandite) è quello voluto da san Francesco. Il famoso “spirito del Natale” (al di là dei personaggi di Charles Dickens) nasce da qui. Il santo di Assisi ci ricorda che la felicità sta nel donare, nel rendere felici gli altri, perché tutte le cose più importanti della nostra esistenza sono stati doni gratuiti: anzitutto la vita stessa, poi il creato, il cielo, la terra, il mare, quindi l'amore, ma soprattutto la salvezza. Perché Dio stesso si è donato gratuitamente a noi, si è fatto uomo, si è fatto uccidere, ha pagato per noi, per riscattarci dal male, ed è risorto. Ed ha insegnato: “gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8). Il dono è la logica di Dio. I giorni di Natale non sono un'anomalia, ma la vita come dovrebbe essere sempre. Capito mister Scrooge? di Antonio Socci www.antoniosocci.com

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