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Giorgia Meloni e il blocco navale contro i migranti, la profezia funesta di Mario Arpino

Giulio Bucchi
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In principio fu Nelson o, per non andare così indietro, si può dire che all'inizio fu il Presidente del Consiglio Romano Prodi a chiedere alla Marina Militare di effettuare un blocco navale davanti alle coste albanesi. Erano i tempi dell'immigrazione di massa, quella cominciata con l'approdo a Brindisi della vecchia Liberty Ship Vlora celebrato anche dalla pellicola di Gianni Amelio Lamerica. Il battello stracolmo di esseri umani divenne ben presto il simbolo della fuga dall'isolamento e dalla povertà conseguenza dello scellerato isolamento economico e politico del vecchio regime di Hoxha; ma fu anche campanello d'allarme per la politica italiana che si rese conto di come l'Albania stesse diventando trampolino di lancio per una immigrazione incontrollata. Non ancora parte della NATO, l'Aquila bicipite fu neutralizzata dalla nostra Marina dapprima con il blocco delle coste, poi con una rapida quanto silente operazione congiunta di intelligence e incursori per la distruzione della flotta scafista. E oggi? L'opposizione di centro destra a guida Meloni riproporre una ricetta che, tuttavia, non è più spendibile come spiega il Generale Mario Arpino. Blocco navale, cosa ne pensa?   "Da un po' di tempo si sta facendo un uso piuttosto disinvolto dell'espressione “Blocco Navale”, che invece ha una sua definizione giuridica ed operativa piuttosto precisa. Che non è certamente quella che, probabilmente costretti dallo spazio dei twitter e degli agguati microfonici agli angoli delle strade, i nostri infastiditi politici sono talvolta costretti a pronunciare in gran fretta. Sotto il profilo giuridico, per Blocco Navale si intende una classica misura di guerra volta ad impedire l'entrata o l'uscita di navi dai porti di un belligerante. E, ancora, secondo la Carta dell'Onu del 1945, il blocco dei porti o delle coste di uno Stato da parte di forze armate di un altro Stato è compreso tra gli atti di aggressione, ci sia stata o meno una dichiarazione di guerra. Non credo che sia questo ciò che desidera e reclama la bravissima ed abile Giorgia Meloni, la quale in alcune occasioni è anche riuscita a spiegare cosa intende. Per chi volesse approfondire il tema giuridico, si rimanda al glossario dell'Ammiraglio Fabio Caffio, collaboratore dell'Istituto Affari Internazionali e vero esperto di Diritto del Mare. Con la Libia non siamo in guerra e tutto ciò non è fattibile. Anzi, stiamo supportando il Governo riconosciuto dall'Onu, abbiamo un'Ambasciata aperta e funzionante e stiamo anche addestrando e potenziando la flotta delle sue motovedette, che operano in una ben definita area di sorveglianza esclusiva. Sotto il profilo tecnico, qualcosa del genere sarebbe previsto nella terza fase delle operazioni navali in corso, per mancanza dei due requisiti essenziali: l'autorizzazione del Consiglio di Sicurezza e la richiesta della Libia".  Cosa spinse il governo di centro sinistra ad una soluzione così drastica con l'Albania?  "Anche nel marzo 1997, in un momento di punta dell'esodo di massa dall'Albania postcomunista, si era parlato impropriamente di Blocco Navale, pur non sussistendo le condizioni giuridiche per questa qualifica. Ricordo di aver seguito direttamente gli eventi come membro del Comitato dei capi di stato maggiore della Difesa, ereditandone poi la continuità dall'ammiraglio Guido Venturoni. Era accaduto che dopo due ore di riunione alla Presidenza del Consiglio tra Romano Prodi e il premier albanese Bashkim Fino, venisse concordato di blindare il Canale d'Otranto, contribuendo nel contempo a ripristinare il funzionamento della vita civile, economica e politica dell'Albania. Scattava così l'”Operazione Alba”, tutta italiana, senza che per tutto il periodo potessimo godere di una sia pur minima collaborazione dell'Unione Europea. La Libia ci ha chiesto tante cose, ma non questo". L'immigrazione attraverso l'Adriatico era più numerosa e difficile da controllare di quella odierna? "La breve distanza, mediamente una quarantina di miglia, favoriva sia gli esodi, sia i controlli ed i respingimenti. Anche in Albania, come oggi in Libia ed altrove, il traffico di esseri umani era gestito da bande armate di malavitosi, che in alcune occasioni avevano persino sequestrato e riempito di clandestini (liberando anche i carcerati) navi commerciali in transito nei porti. Anche là, vi sono stati dei casi in cui dirottatori hanno sparato alla nostra Guardia Costiera, che intimava l'inversione di rotta. Normalmente, oltre ai mezzi delle Capitanerie, venivano utilizzate 2-3 fregate e 2-3 corvette della nostra Marina, che si spingevano in acque albanesi fino in prossimità dei porti. In quanto ai numeri, ricordo che nei giorni immediatamente precedenti l'accordo si erano ammassati nel porto di Brindisi circa 8.000 clandestini, poi in buona parte rimpatriati. Ma, anche dopo, l'esodo non si è mai del tutto arrestato". Qual è la differenza fra l'immigrazione di oggi e quella di 20 anni fa e quali sono, se ci sono, le odierne criticità nel contrastarla?  "La differenza è che allora i respingimenti ed i rimpatri si facevano davvero con tutti i mezzi, aerei e navali, senza andare troppo per il sottile. E non si trattava certo di Governi di destra. Ricordo bene un episodio, essendone stato in qualche modo coinvolto, ai tempi dell'arrivo del mercantile Vlora, stipato di 11 mila clandestini, tra cui, secondo i Servizi, una buona quantità di carcerati evasi e di delinquenti abituali, internati e riforniti con elicotteri nel vecchio Stadio della Vittoria di Bari. Era l'agosto del 1991: Andreotti presidente del Consiglio, Scotti ministro degli Interni, De Michelis ministro degli Esteri, Rognoni ministro della Difesa, tutti in contatto con le Autorità (?) albanesi. Io ero Sottocapo dell'Aeronautica, in quei giorni in funzione vicaria del capo di SMA. In un paio di giorni, in gran segreto, venne organizzato un blitz per un rimpatrio urgente. Per la parte aerea, immediata, gli accordi vennero presi direttamente dal prefetto Masone, delegato dal capo della polizia Parisi, con il sottoscritto ed il capo operazioni Volo dell'Alitalia. La sera stessa, una lunga serie di autobus militari scortati dalla Polizia si presentavano allo Stadio di Bari, imbarcando una buona quantità di clandestini, cui era stato detto che iniziava il loro trasferimento in strutture del centro-nord Italia. In realtà, i pullman si diressero su alcuni aeroporti militari selezionati, dove trovarono ad attenderli una quindicina tra Hercules C-130 e G-222 dell'AM, più tre Md-80 super dell'Alitalia. Prima dell'alba erano già tutti a Tirana, alcuni subito restituiti alle patrie galere. Gli altri, la massa, credendo di andare verso Venezia, furono portati via con mezzi navali. In pochi giorni, 11 mila rimpatriati. Nessuno dei nostri democratici benpensanti ebbe qualcosa da obiettare". Quali differenze nota fra il modus di gestione dei flussi adottato da Minniti e quello di Salvini?  "Solo questione di modi e di espressioni verbali, non certo di merito. In realtà il governo Conte sta continuando, forse addirittura in modo più strutturato, l'opera del ministro Minniti. Nell'immediato, non c'è altra scelta. E anche il bravissimo Minniti, in ogni caso, non ha mancato di muoversi con molta fermezza. Ricordiamo che esattamente un anno fa, seduto ad un tavolo di Frontex, si era espresso assai chiaramente: “…o cambiano le regole della missione navale europea, o l'Italia lascia l'operazione”. Con la missione successiva, le regole sono cambiate. Molto deboli, quasi inesistenti, le voci critiche del suo partito. Con Salvini, è assai diverso…".  Ultima domanda, a bruciapelo: perché ai tempi della Vlora di ONG neanche l'ombra? Cos'è cambiato?  "Perché il business veniva gestito direttamente dalla malavita albanese, a terra e in mare. La comparsa delle navi dei benefattori disinteressati sembrerebbe un fenomeno piuttosto recente. di Marco Petrelli @marco_petrelli

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