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Salame, la truffa: ecco cosa vi mangiate davvero, altro che prelibatezze italiane

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Davide Locano
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Non solo Parmesan. L'italian sounding non dimentica nulla. Oltre ai campioni del made in Italy, i grandi taroccatori americani ci copiano perfino le piccole Dop. È il caso del Salame di Varzi, un salume caratteristico dell'alta Valle Staffora, in Oltrepò Pavese, che prende il nome dalla località che fa da cerniera fra le colline e le montagne dell'Appennino lombardo. Tutto comincia da una foto inviatami da un amico che si trova a New York per festeggiare la laurea. In un supermercato della Grande Mela, affettato fresco, è in vendita una vaschetta di «Varzi italian salami». A produrlo un salumificio dall'inequivocabile nome italiano: Creminelli. Lo condivido subito sulla mia pagina Facebook dedicata ai tarocchi. E qui arriva la sorpresa: alcuni internauti che seguono assiduamente le mie segnalazioni, aggiungono il collegamento al sito web di un salumificio Creminelli, in provincia di Biella, Piemonte settentrionale. Possibile che un pizzicagnolo italiano falsifichi una Dop impunemente? Senza che nessuno se ne accorga? Verifico. E infatti il salumificio Creminelli di Vigliano, non tarocca proprio nulla. Il falsificatore è sì un Creminelli, ma non Andrea, titolare dello stabilimento biellese, bensì il fratello Cristiano. Una storia singolare, simile a quella dei due Auricchio, Gian Domenico, il re del vero provolone made in Italy e il cugino Errico che nel Wisconsin (sempre Stati Uniti) tarocca tutte le eccellenze lattiero casearie italiane. ULTIMO RAMPOLLO Cristiano Creminelli, ultimo rampollo di una dinastia salumiera vecchia di un secolo, nel 2006 decide di mollare tutto in Italia per trasferirsi negli States. Salt Lake City, capitale dello Utah, «lasciando il fratello Andrea a dirigere il salumificio di Vigliano», recita una agiografia pubblicata da un sito di riferimento per i taroccatori americani, Caputos.com. Ignoro quali siano i rapporti fra le due aziende e se il Creminelli americano conservi qualche partecipazione nell'azienda di Vigliano. O viceversa. Il tema dovrebbe essere di qualche interesse per i Nuclei anti contraffazione, Nac, dei Carabinieri, che oltretutto hanno gli strumenti appropriati per condurre un semplice controllo documentale. Per lo meno sull'attività italiana. Sul sito della ditta americana, Creminelli.com, scopro poi che il «Varzi italian salami», è in compagnia di altri due tarocchi clamorosi, che imitano altrettante Igp (indicazioni geografiche protette) italiane: il Salame Felino e la Finocchiona Toscana. DINASTIA DI NORCINI E non manca neppure una foto d'epoca dello storico Salumificio di Vigliano, a rimarcare un legame se non altro parentale, con la dinastia dei mastri norcini italiani. Sul sito italiano, Creminelli.it, invece, non compare alcun riferimento all'omonima attività americana. Né, tantomeno, si fa menzione del salame di Varzi. E non potrebbe essere diversamente. Trattandosi di una Dop (Denominazione d'origine protetta), non può essere prodotta che nel territorio di Varzi e nei comuni limitrofi. Come da disciplinare. E Biella è decisamente lontana per consentirlo. Il caso del Salame di Varzi è esemplare per comprendere quale possa essere la sorte delle piccole Dop italiane. Nei trattati internazionali, come il Ceta firmato con il Canada e il Ttip con gli Usa, arrivato a un passo dalla firma e stoppato da Trump, c'è spazio solo per le grandi indicazioni d'origine, una trentina in tutto. Le altre sono lasciate senza tutela, in base al principio squisitamente censuario per il quale meritano attenzione soltanto i prodotti più ricchi, in termini di fatturato. Gli altri possono finire tranquillamente nel tritacarne dei taroccatori. Il ragionamento che ha portato a escludere dall'accordo commerciale Ue-Canada, oltre 200 fra Dop e Igp. E chissenefrega delle tradizioni alimentari italiane. di Attilio Barbieri

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