Cerca
Logo
Cerca
+

Da Grillo a Renzi l'Italiaè diventato un paese di "gufi"

Giampaolo Pansa

Siamo circondati da iettatori di ogni genere: dai politici ai media, trionfa la "linea Tafazzi"

Matteo Legnani
  • a
  • a
  • a

Che cosa dobbiamo temere di più? La violenza antagonista di strada oppure il pessimismo antagonista di chi dice che tutto va male e l'Italia non si salverà, anzi è già morta e sepolta? Del primo genere di violenza penso di essere esperto perché mi è capitato di descriverla molte volte, in tanti anni di giornalismo. Ne ho vista di continuo, in epoche diverse. Rossa, nera o con il colore della follia individuale. Teste di ragazzi spaccate a colpi di spranga da altri ragazzi. Stragi provocate da bombe collocate da chissà chi. Infine il terrorismo diffuso di bande come le Brigate rosse, Prima linea e affini. Con mille delitti, poi sfociati nel super-delitto di Aldo Moro.  Confesso di non aver mai provato paura per questo genere di violenza. Neppure quando mi sono reso conto che ero destinato a essere ucciso anch'io da una banda che si era messa a sparare sui giornalisti, convinta di fare la rivoluzione comunista. Non temevo nulla perché ero ben più giovane di oggi. Ma soprattutto perché sapevo che, prima o poi, quei gruppi armati sarebbero stati sconfitti dalla comunità dei cittadini pacifici. Ovvero dallo Stato repubblicano, dai nostri agenti di polizia, dai nostri carabinieri, dai nostri magistrati.  Non è molto diverso il mio stato d'animo di oggi, benché il tempo sia passato anche per me. Le bande del 2013, quelle che abbiamo visto in azione a Roma e a Milano qualche giorno fa, non sono fatte di Superman imbattibili. Lo Stato può sconfiggerli in qualsiasi momento. A una condizione: i magistrati che devono giudicarli non si distraggano o non si lascino condizionare dalle pulsioni politiche personali.  Chi assalta le sedi dei partiti, come è avvenuto per il Pd, è un terrorista identico a chi colloca una bomba o spara un colpo di pistola. Anche se coperti dal discredito, i partiti politici sono pur sempre la base indispensabile per una democrazia parlamentare. Dobbiamo migliorarli e aiutarli a emendarsi dei loro errori, ma non distruggerli. Sarebbe una decisione suicida anche per chi non li vota più da anni.  Capisco che mantenere l'ordine in grandi città non sia affare da poco. Ma esiste una regola che vale in tutti i Paesi e per tutte le stagioni: chi sbaglia, paga. Bisogna far comprendere che assalire la sede di un partito, di qualunque partito, non è un reato di poco conto. E può aprire ai violenti le porte di un carcere, anche per un tempo lungo.  Molto più difficile è contrastare il pessimismo combattente di chi grida di continuo che il disastro è già iniziato e non ci salveremo più. Esiste un verbo, mutuato dal linguaggio dei giovani, che descrive bene questo atteggiamento mentale che poi diventa un comportamento quotidiano. È il verbo «gufare», da gufo, un uccello rapace notturno che nella tradizione popolare annuncia soltanto guai e sfortune.   Quanti gufi vedo all'opera attorno a noi! Basta guardare un telegiornale, oppure leggere un quotidiano, per vederli in azione. I più fastidiosi sono i gufi politici, soprattutto quelli convinti di essere dei grandi leader o di avere le carte giuste per diventarlo.  È un supergufo Beppe Grillo, il duce delle Cinque stelle. Non appena apre bocca, urla che l'Italia è perduta, invoca sfracelli e sangue, garantisce che soltanto lui e le sue camicie grigie ci salveranno dal disastro. Ha avuto persino la faccia tosta di infilarsi nella vertenza dei trasporti pubblici genovesi. Proprio lui che non sale da decenni su un tram o su un autobus. Voleva persino guidare il corteo degli scioperanti, ma gli hanno risposto: «D'accordo, ma soltanto se stai nell'ultima fila».  Un altro gufo che spera di impadronirsi del Partito democratico è il sindaco di Firenze, Matteo Renzi. È da tempo che ci rompe i corbelli spiegandoci che tutto va male perché lui non è il capo supremo della nuova sinistra e, dunque, dell'Italia. Ma adesso, mentre si avvicina l'8 dicembre delle primarie per il segretario del Pd, la sua petulanza gufesca è diventata asfissiante e stomachevole: «Io farò, io ordinerò, io comanderò!». Renzi era partito da rottamatore e sta finendo con il rottamare la nostra pazienza. Con l'arma preferita da tutti i gufi: sostenere che, se non ci affideremo a lui, il nostro destino è soltanto il cimitero.  Tuttavia è inevitabile che il nido preferito dai gufi siano i partiti politici. È fatale che i capi delle tante parrocchie dichiarino che tutto va male perché il potere non è nelle loro mani. Ma il danno che possono fare bluffando in modo così scoperto è minimo. Sono ridotti all'osso gli italiani disposti ancora a credere ai capipartito. Per questo il loro gufare non è pericoloso quanto potrebbe sembrare. I gufi più insidiosi non stanno nei partiti, bensì nei media. Ossia in tivù, nelle tante radio, negli infiniti blog, nei quotidiani stampati e nei settimanali. Non so quanto le loro prediche gufesche facciano breccia nell'opinione pubblica. Però ho l'impressione che vengano prese per buone da una parte dei lettori o degli ascoltatori ai quali sono diretti.  Sia chiaro che il Bestiario non può, e non vuole, tirare per la giacca nessun gufo, grande o piccolo che sia. Ma ha il diritto di osservare che su molti media sta trionfando la linea Tafazzi. Vi ricordate di questa macchietta? Era un tipo che amava darsi le bottigliate sui santissimi, incurante di farsi del male da solo.  Tafazzi si nasconde dentro ciascuno di noi. È impossibile sopprimerlo, ma tenerlo a bada sì. Eppure tutte le occasioni sono buone per darci dentro su stesso. Perché ci riesce di continuo? Perché vede nero, sempre e soltanto nero. Perché il suo gufismo insopprimibile, che ho definito combattente, gli impedisce di scorgere nel buio un lampo di luce. O un lembo di sereno in un cielo che sembra annunciare tempesta.  Qualsiasi novità disturba il gufo Tafazzi. Ne ho avuto la conferma proprio in questi giorni. Il governo Letta-Alfano ha affidato il compito immane di tagliare la spesa pubblica a Carlo Cottarelli, un italiano che ha lasciato il Fondo monetario internazionale per tornare in patria a lavorare per il suo Paese. E ci ha pure rimesso una parte consistente del proprio stipendio.  Cottarelli ha appena iniziato a muoversi che i gufi l'hanno subito preso per i fondelli. È davvero un genio, questo reduce del Fondo monetario, se ha scoperto che in casa nostra ci sono troppe autoblu! Direi a Cottarelli di aspettarsi anche di peggio. Non è che all'inizio di un percorso di guerra. E il Bestiario non può far altro che incoraggiarlo a insistere. Sapete che cosa mi ricordano certi gufi, per esempio il maxigufo Grillo? Mi rammentano gli agit-prop comunisti del Fronte democratico popolare del 1948. L'ho vista con i miei occhi quella campagna elettorale. Tutti i giorni gli agit-prop rossi strillavano che la Dc di Alcide De Gasperi avrebbe portato alla rovina l'Italia. Un Paese destinato a diventare la provincia miserabile dell'Impero americano. Morale della favola: il Fronte di Togliatti e Nenni perse, la Dc di De Gasperi vinse.  Gufare sempre e su tutto è un gioco molto rischioso per le conseguenze che potrebbe causare. Ma è rischioso anche per qualsiasi gufo. Se ha ragione nell'aver visto nero, potrà sempre dire di averlo predetto, ma nessuno lo ringrazierà perché le disgrazie non sono mai un regalo gradito. Se fallisce, e le sue profezie si rivelano fasulle, verrà coperto da fischi. E forse non soltanto da quelli. di Giampaolo Pansa

Dai blog