Napoli, camorra:
caccia alla talpa in procura
Cherchez la femme. È questol'ultimo filone investigativo nel corso delle indagini sul clan Sarno di Ponticelli:un'inchiestaper accertare l'esistenza di una presunta talpa, che sarebbe la moglie di unavvocato penalista, in Procura. A scatenare i segugi della Procura sono leultime dichiarazioni dell'ex boss pentito Giuseppe Sarno. Il racconto del bosspentito è più o meno questo: Giuseppe Sarno ha infatti spiegato che una delle«armi» a disposizione del fratello Vincenzo Sarno era un «contatto» in Procura,«Una donna che avrebbe potuto confermare o smentire l'indiscrezione sulla miadecisione di ritrattare le accuse». La Procura ha deciso di vederci chiaro e di aprirecosì un fascicolo per accertare l'esistenza di contatti tra un avvocatonapoletano e una donna che presta servizio nel Palazzo del Centro direzionale. Dueanni fa, lo stesso penalista è stato condannato dalla quinta penale per unavicenda analoga. Ladonna citata negli atti - Spiega il pentito Giuseppe Sarno: «È la mogliedi un avvocato che può avvertire se Peppe Sarno è tornato sui suoi passi», silegge ancora nei verbali. Parole allarmanti, immediate le contromosse. Tantoche se n'è parlato in una recente riunione in Procura, alla quale hannopartecipato procuratori aggiunti e sostituti impegnati nella controffensiva alpotente cartello camorristico dei Sarno. L'inchiesta è solo all'inizio.Indagano i pm Stefania Castaldi, Enzo D'Onofrio, Maria Cristina Ribera.L'obiettivo è mettere a fuoco il rapporto tra il penalista accusato dai Sarno(il cui nome per il momento è coperto da omissis) e la donna in servizio inProcura. Una vicenda che emerge nel momento di maggiore tensione interna allacamorra di Ponticelli, quando cioè i quadri della malavita locale sonoimpegnati a far ritrattare Giuseppe Sarno dalla sua decisione di collaborarecon la giustizia. Un tentativo fallito, che viene poi ricostruito dallo stessoboss pentito in uno degli ultimi interrogatori dinanzi ai pm della Dda diNapoli. Spiega Giuseppe Sarno: «Mia moglie, per quieto vivere, ha fatto ditutto per far credere ai miei fratelli che io avevo ritrattato. Ha provato persettimane a convincere che il piano ordito dal clan era andato a buon fine ed èa questo punto che è scattata la reazione». Una reazione riconducibile alla famiglia del boss detenutoVincenzo Sarno, secondo il racconto del collaboratore: «Mia moglie venne messacon le spalle al muro: le venne ricordato che tramite l'avvocato ”omissis” erapossibile verificare dall'interno della Procura quali fossero le mie realiintenzioni di collaboratore con la giustizia».