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Migranti positivi al coronavirus, "liberi di fuggire dal centro di accoglienza di Monastir": la denuncia del Sap

Salvatore Dama
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Aggiornamento: Il centro di accoglienza di Monastir è stato "alleggerito" in seguito alle proteste del sindaco Luisa Murri. La Prefettura di Cagliari ha deciso di trasferire 20 migranti algerini in un'altra struttura a Tonara, nel Nuorese. Di seguito, l'articolo di Salvatore Dama sulla denuncia del sindacato di Polizia Sap. 

 

Monastir è un paesino della provincia di Cagliari. Sta nell'entroterra. A pochi chilometri dall'aeroporto di Elmas. C'è un'ex scuola di Polizia Penitenziaria. Ed è lì che il ministero dell'Interno ha deciso di alloggiare i migranti che arrivano in Sardegna. Sono quasi tutti algerini. Arrivano con i barchini in piccoli gruppi. Al momento l'hotspot ne ospita 150 circa. Un tot di loro ha il Covid. Ci sono due reparti infettivi dedicati. Ma non sono chiusi a chiave. E allora i positivi, durante il giorno, se ne vanno in giro dentro e fuori dal centro di permanenza. Indisturbati. Mettendo a rischio i loro connazionali, il personale di pubblica sicurezza, gli operatori della società che gestisce il centro e i cittadini di Monastir. Che se li ritrovano per strada, al bar, al supermercato. È una situazione al limite del paradosso. Oltre il paradosso. E la racconta Luca Agati, segretario provinciale cagliaritano del Sindacato autonomo di polizia (Sap). Agati ha inviato una lettera al Questore, corredata da un ampio dossier fotografico, per denunciare l'emergenza sanitaria che ha sotto gli occhi. L'altro giorno, riferisce, un gruppo di positivi «sedeva beatamente all'esterno, sotto il porticato, come se nulla fosse, fumando e bevendo caffè acquistato alle macchinette poste in un'altra palazzina limitrofa».

 

 



 

Ventre molle - I poliziotti che lavorano nel centro non sono in grado di distinguere tra Covid-positivi e sani. E anche i dipendenti della cooperativa, a dirla tutta. «Abbiamo assistito a scene del tipo: "Sei Covid?" "No" "Ah ok"», rivela Agati. Il controllo nei reparti infettivi viene fatto la mattina e la sera. Poi se durante il giorno i contagiati se ne vanno in giro, nessuno vigila. Come l'hotspot di Lampedusa, anche Monastir ha un ventre molle. C'è una parte retrostante priva di barriere. I lavori di ristrutturazione non sono mai stati finiti. Allora i migranti scavalcano agevolmente il muro di cinta. Se ne vanno in giro, raggiungono il centro commerciale e tornano con buste piene di bottiglie di superalcolici e birre. Il proprietario della casa vicina al centro ha denunciato le continue violazioni dei suoi confini. Per i poliziotti è impossibile gestire l'ordine: «Non è chiara la distribuzione all'interno della struttura degli stranieri, perché anche gli stessi organizzatori faticano a capirla». Agati cita il caso di un gruppo di cinque algerini che è stato accompagnato al centro «poiché in una struttura di Quartu avevano creato turbative. Queste persone restano all'esterno perché si rifiutano di entrare all'interno. Fanno parte di questi alcuni nordafricani controllati qualche giorno fa in Piazza del Carmine mentre sostavano in quella Piazza insieme ad altri connazionali. E parliamo sempre di persone in quarantena».

Rischi sanitari - Il rischio di contagio tra stranieri è «altissimo» posto che «i positivi Covid hanno la possibilità di aggirare facilmente i controlli allontanandosi dalle proprie stanze. E questo rischio si estende di conseguenza agli operatori di polizia di vigilanza». Monastir esplode, oltretutto. I gestori del centro dicono che se ci dovessero essere altri sbarchi, non saprebbero dove mettere i nuovi arrivi. Beffa nella beffa, racconta il rappresentante del Sap, «un decina di algerini ha occupato alcuni locali dove sono presenti gli uffici di Polizia, le macchinette ed i bagni a noi dedicati costringendo i colleghi all'espletazione dei bisogni fisiologici all'esterno della struttura». C'è poi una questione umanitaria. I migranti vivono in condizioni igieniche precarie. C'è un nucleo familiare con tre minori (1, 3 e 5 anni). E i bambini giocano in mezzo ai sacchi dell'immondizia abbandonati accanto alla struttura che li ospita.

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