Caso Cucchi, un detenuto:
"Pagheranno il male fatto"
«Tutta lanotte ho preso botte». Così un detenuto in una missiva inviata alla famiglia diStefano Cucchi, il 31enne morto il 22 ottobre scorso, sei giorni dopo esserestato arrestato, tramite il senatore Idv Stefano Pedica. Nella lettera ildetenuto, un arabo, riferisce di aver condiviso una stanza con Cucchi nelcentro clinico di Regina Coeli. Qui, avrebbe raccolto le sue confidenze: «Io facciouna domanda al ragazzo: “perché?” Lui molto educato mi risponde “per un pezzodi fumo”, io domando al ragazzo “per un pezzo di fumo ti hanno fatto questo?”,lui dice “sì”. Mentre fumava la sigaretta, vedevo che non stava bene e, finitala sigaretta, mi guarda e mi dice buonanotte e si addormenta». È la testimonianza, fino a oggi inedita, che ildetenuto della stanza numero 6 del centro clinico di Regina Coeli ha volontariamente rilasciato. Le affermazioni contenute nella lettera, della quale è a conoscenzail pm Vincenzo Barba, sembrano però non trovare piena conferma nelle dichiarazioni deglialtri detenuti. Cucchi dopol'udienza di convalida del suo arresto è stato riportato a Regina Coeli nellastessa stanza del testimone. Questi riferisce che faceva fatica a camminare. Èstato lui a preparagli la branda e a dargli una coperta perché «sentiva moltofreddo». Il detenuto racconta: «Ho preso la mia coperta, poi ho incominciato afare il suo letto. Il ragazzo stando sul letto mi chiedeva se ci fosse qualchedolce (biscotti) ... ho preso un piatto di carta ho messo dei biscottimangiandone minimo due o tre poi mi ha chiesto una sigaretta». Il testimone accusai carabinieri e poi spiega che durante la notte Stefano era stato male: «Nellanostra cella si sentivano forti urla. Mi sono alzato dal letto insieme ad unaltro amico e ci siamo avvicinati a Stefano per vedere cosa succedeva. Luidisse “non chiamate nessuno, però sto male”. Era impaurito». Il giornosuccessivo Stefano rispondendo alle domande del detenuto su chi lo avevapicchiato disse «per due volte i carabinieri». Poi, secondo il detenuto,Stefano venne visitato da un medico. «Lo toccò ai fianchi - scrive il detenuto- e Stefano fece un urlo e il dottore disse che doveva andare immediatamente inospedale». Nella lettera il testimone spiega che tuttavia il geometra romanonon voleva ricoverarsi. «Solo alla fine - si legge - mi rispose “vabene vado in ospedale”. Prima che andasse via gli ho preparato una busta condei biscotti e alcune mele. Quando è andato via io e il mio amico di stanza cisiamo parlati in arabo dicendo che non si può fare questo ad una persona umana,Dio non vuole così. Ora Stefano è nelle mani di Dio. Questi pagheranno persette volte il male che hanno fatto. Stefano ora sei al sicuro, Pace amico mio».