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Pensioni a 71 anni, la trappola previdenziale: "scorciatoia" e contributi, chi sono gli italiani condannati

Sandro Iacometti
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Siamo allo stesso tempo uno dei Paesi dell'Ocse dove si va più tardi in pensione e uno di quelli dove si lascia prima il lavoro. Possibile? In Italia sì. Un po' come accade con le tasse, i divieti e le pene, dove il legislatore fissa asticelle altissime e allo stesso tempo individua mille modi legali per aggirarle, anche sulla previdenza la teoria è lunare e la prassi sottoterra. Basta guardare i numeri snocciolati ieri dall'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico per capire che qualcosa non va. A causa dell'agganciamento totale alle aspettative di vita, applicato solo da noi e pochissimi altri Paesi nel mondo, la generazione che accede adesso al mercato del lavoro andrà in pensione in media a 71 anni. Peggio di noi c'è solo la Danimarca, con 74 anni, mentre l'Estonia e i Paesi Bassi si piazzano a pari merito. Una volta digerito questo dato, che trasforma gli attuali requisiti in una sorta di trattamento anticipato, vediamo qual è l'età effettiva a cui gli italiani vanno oggi in pensione.

 

 

 

 

 

 

SOGLIA - La soglia di legge la conosciamo tutti, sono i 67 annidi cui si discute ogni giorno previsti dalla Fornero. Ma nella pratica quotidiana l'età anagrafica media a cui si abbandona l'attività lavorativa è di 61,8 anni. Avete Fonte: Ocse capito bene, si tratta di un valore più basso di quello previsto dalla pur generosa Quota 100. E, trattandosi di una media bisogna presupporre che in molti casi c'è anche chi inizia a vivere a spese dell'Inps alcuni anni prima. In che modo? Facile, usando una delle numerose scorciatoie che ben prima che arrivasse Matteo Salvini le norme mettono a disposizione. Tanto per citare qualcuna di quelle che l'Ocse definisce «le diverse opzioni» ci sono gli sconti per i lavoratori precoci, quelli per i lavori usuranti e per quelli gravosi, poi c'è l'Ape Social, la Rita, Opzione Donna, il riscatto della laurea, quello del servizio di leva, le leggi speciali per forze dell'ordine e militari, quelle per i politici. Insomma, decine e decine di maniere di aggirare dei paletti che, anche per questo motivo, vengono spinti sempre più verso l'alto. Già, perché se pochi vanno effettivamente in pensioni sulla base dei requisiti ordinari, la spesa aumenta e la cinghia deve essere stretta sempre di più. Senza contare, come ricorda spesso il professor Alberto Brambilla, animatore di Itinerari previdenziali, che in Italia la metà dei pensionati e interamente o parzialmente assistita. In altre parole, si becca l'assegno senza aver versato i contributi.

 

 

 



RISULTATO - Il risultato complessivo della somma di anomalie che caratterizzano il nostro sistema pensionistico è quello fotografato dall'Ocse. Secondi al mondo per l'età di uscita teorica di chi ha da poco iniziato a lavorare, primi al mondo per l'età effettiva in cui si lascia (insieme a Colombia, Costa Rica, Grecia, Corea, Lussemburgo e Slovenia) e di nuovo secondi al mondo perla spesa. Il nostro 15,4% del Pil (percentuale che è aumentata di 2,2 punti dal 2000 e che salirà al 17,9% nel 2035) lo batte soltanto la Grecia. Stesso discorso per la quota di spesa pubblica destinata alla previdenza. Da noi è del 32,1%, la media Ocse non supera il 18,2%. E' chiaro che se non si interviene sulle scorciatoie e sull'assistenza, tra un po' a quei pochi sfortunati che hanno pagato i contribuiti e non rientrano nelle categorie speciali non resterà che tirare le cuoia direttamente in azienda.

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