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Marmolada-choc, "guardate dove sono!": cosa svela l'ultima foto di Filippo

Giordano Tedoldi
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Ieri tutti i giornali hanno pubblicato l'ultimo selfie di Filippo Bari, 27 anni, in cui esulta dalla cima della Marmolada: «Guardate dove sono!» ha scritto al fratello e ai genitori. Filippo è uno dei sette morti identificati (tredici i dispersi) travolti dal crollo di un grande seracco. Il suo sorriso a bocca spalancata, con gli occhiali da sole e il casco, in un'espressione trionfale di felicità, accompagna come un dissonante contrappunto tutti gli articoli sulla tragedia. Oltre ai genitori e al fratello, Filippo lascia una compagna e un figlio di quattro anni. Perché questa foto ci ha così profondamente impressionato? Certo, il fatto che di lì a poco Filippo abbia incontrato una morte straziante, l'ultima traccia di un'impresa di cui è andato orgoglioso, l'ultima manifestazione del suo grande amore per la montagna, colpisce e commuove. Ma c'è qualcosa di più. L'ultimo selfie di Filippo Bari ha anche qualcosa che ci parla di noi, del nostro tempo, del nostro modo di affrontare la vita, la natura, la bellezza del mondo. Un modo che è sempre sottilmente tragico, minaccioso, terribile, anche se questa terribilità si nasconde sotto una lastra di fragile ghiaccio.

 

Quante volte, da quando esiste la tecnologia che lo consenti, abbiamo visto l'ultimo selfie o l'ultimo video del prode tuffatore dalla scogliera vertiginosa, odi quello che plana spericolato in para pendio avvitandosi tra le rocce, o dello scalatore sulla parete impervia? Abbiamo visto donne e uomini coraggiosi, sicuri di sé, fieri delle loro gesta e, soprattutto, impazienti di condividerle. Ci si butta dalla scogliera per essere filmati. Il parapendio si libra per finire su YouTube. Si immortala l'ascesa su Instagram. Filippo Bari, senza pretendere di essere una star seguita da legioni di followers, ha fatto qualcosa di più umile, che tuttavia rientra in questa impazienza della condivisione, in questo impulso irresistibile a far sapere agli altri - la famiglia, i nostri parenti, gli amici - che cosa abbiamo appena fatto e quanto siamo felici. Ha mandato un ultimo esplosivo sorriso al fratello e ai genitori, chiedendo loro, con semplicità, di ammirarlo, di volergli bene, di partecipare della sua gioia. Noi ci apriamo al mondo, alla montagna, alla natura, alla bellezza, condividiamo la nostra esultanza con le persone che ci vogliono bene, e subito dopo avviene una sciagura inimmaginabile, che per la vicinanza sembra quasi un castigo, o un crudele schiaffone del fato, imperturbabile alla felicità umana.

 

 

Abbiamo visto anche le immagini di alcuni degli altri scalatori morti sulla Marmolada: la guida alpina Davide Miotti, la cui ultima foto, postata sul suo profilo Facebook, risale a cinque giorni fa; sua moglie Erica Campagnaro (il cui corpo al momento non è ancora stato identificato); la guida Paolo Dani e Tommaso Carollo. Anche questi, con sullo sfondo l'amata montagna, sorridono, fanno il segno della vittoria con le dita, ma nessuno eguaglia quella specie di sfrenato grido muto che ci arriva dall'ultimo selfie di Filippo Bari. È questo il perturbante, in ogni cosa e tanto più in un'immagine che è l'ultima che abbiamo di una persona: quel dettaglio, quell'atmosfera che può essere capovolta di segno alla luce di un evento posteriore. Quel grido espressione muto di Filippo e quella sua sfrenata felicità possono purtroppo valere anche come del più inesorabile orrore. La terribile ruota della fortuna (intesa, alla latina, come sorte, fato) gira: una volta siamo sopra, a un passo dal cielo, e, un istante dopo, per un imperscrutabile catena di cause nascoste, ci troviamo schiacciati dal ghiaccio e dalle rocce. Filippo Bari è come tutti noi: costantemente in balia di eventi più grandi di noi, che ci sballottano di giorno in giorno, di ora in ora tra felicità e disperazione; noi che pro con i nostri fidati smartphone di far credere siamo in salvo, che abbiamo agli altri che siamo invidiabile (benignamente invidiabile), noi che come bambini invochiamo attenzione e quasi vorremmo che gli altri venissero con noi lassù, dove si respira quell'aria pura e si gode un panorama meraviglioso. Un attimo prima dello schianto.

 

 

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