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Bollette, "non paghiamo più": sta per scoppiare la rivolta

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Claudia Osmetti
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Così è troppo. Bollette triplicate, costi della luce lievitati, utenze del gas da salasso: cinque, sei, sette volte maggiori rispetto al 2021. C'è aria di rivolta tra i commercianti, gli albergatori, i ristoratori, i panettieri, i pasticceri e persino tra le famiglie italiane. Ché un conto (salato pure quello, di 'sti tempi) sono gli aumenti calmierati, che ci avevano detto sarà da stringere la cinghia. E un altro sono le fatture che ci siamo ritrovati in tasca (ma soprattutto che si sono ritrovati in tasca loro, gli imprenditori che tirano la carretta e, senza i quali, cadremmo col sedere per terra) nelle ultime settimane. Batoste da 40mila, 100mila, 300mila euro l'una. Da coprire sull'unghia, sennò son dolori. E chi ce la fa a pagarle? Perché il punto, signori, è proprio questo: con tutta la buona volontà, con tutto il senso di responsabilità sociale che uno si sente cucito addosso: ma come fai? Licenzi i dipendenti per saldare il conto dell'energia? Sobbarchi ai clienti parte dei costi col rischio di non rivederli più? E dopo? Dopo succede che c'è chi dice no: a-queste-condizioni io non sborso più manco-un-euro.

REAZIONE
«Molti albergatori sono pronti a non pagare le bollette che sono ormai diventate insostenibili». Non lo annunciamo noi di Libero, lo ammette Giovanni Cher che è il presidente della sezione trevigiana di Federalberghi. «La sofferenza è grande, il problema rischia di essere insormontabile e non possiamo escludere che qualcuno decida di rifiutarsi di metter mano al portafoglio», continua: «Dopotutto, qui, per le imprese si parla di vita odi morte». Ecco, la sottile linea rossa che va dal Mav (è solo un esempio) di 1.263 euro del Bhr hotel di Treviso nel luglio del 2021 ai 7.870 euro di quest' estate. Un rincaro di circa sette volte. È una stangata dritta sui denti, siamo onesti. Una di quelle che non ti riprendi più. Al punto che si sta ingrossando, il movimento dei "disubbidienti della bolletta". Quel popolo che se l'è già presa in saccoccia col Covid, con le restrizioni, con il turismo che scarseggiava fino a due mesetti fa e che adesso vive sull'orlo del baratro e trema come una foglia ogni volta che riceve una busta lunga con su scritto "saldo utenze".

Raffaele Madeo è un giovane ragazzo dall'accento toscano che fa il presidente della Tni Italia, l'associazione Tutela nazionale imprese. Ha organizzato i suoi per una manifestazione sotto la sede dell'Enel (il luogo è simbolico), a Roma, il 13 settembre prossimo. Obiettivo: «Basta chiacchiere», sbotta lui. La Tni segue 2.400 aziende e ha raccolto 110mila firme contro il caro energie per predisporre «un esposto contro le speculazioni che depositeremo nei prossimi giorni», spiega Madeo: «Stiamo ricevendo le bollette del 2021 e quelle del 2022 e anche i contratti di servizio. Non solo delle attività imprenditoriali, ma persino delle famiglie. Perché i rialzi toccano tutti. Lo scopo è non pagare un centesimo finché la magistratura non si sarà pronunciata». A Napoli, ieri pomeriggio, diversi disoccupati di due sigle (Disoccupati 7 novembre e Cantiere 167) si sono dati appuntamento con in una mano l'ultima bolletta che hanno ricevuto e nell'altra un cerino. Hanno dato fuoco alle fatture, lì, in piazza Matteotti, e anche sotto al palazzo San Giacomo che è la sede della giunta comunale partenopea. «Non possiamo pagare e siamo stanchi delle promesse a vuoto». È che cominciano sempre così, le proteste di massa: con qualche gesto plateale.

GESTI PLATEALI
Però adesso, che è settembre e siamo in piena ripresa (si fa per dire), di gesti plateali cene sono da buttar via: i baristi, i negozianti, i ristoratori che espongono le bollette in vetrina per gridare che non si sono inventati proprio nulla. Ad Ancona, a Cagliari, a Ferrara, a Padova, a Brescia. Praticamente ovunque. Gli esercenti che se le inventano tutte (ad Arezzo c'è il paninaro che aggiunge la voce "caro energia" su ogni scontrino, costo ottanta centesimi; a Roma il ristoratore che propone le cene a lume di candele per risparmiare sulle lampadine). Ma, la verità, è che siamo stretti nella morsa e non si salva più nessuno. Non si salvano le Rsa (solo in provincia di Bergamo, le 65 case di riposo che ci sono stimano un rialzo dei costi energetici che oscilla tra i cinque e i dieci milioni di euro: «Non triplichiamo le rette, ma occorre calmierare i pezzi», dicono i gestori, altrimenti è la fine). Non si salvano le palestre, il comparto degli sport invernali (ché la stagione non è ancora cominciata, ma si prevedono solo batoste). Non si salvano nemmeno le case private. E assieme a quel numerino del contatore che sale inesorabilmente, cresce anche il malcontento. Governo (futuro) avvisato, mezzo salvato. 

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