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Evasione fiscale, un errore da 85 miliardi: uno tsunami sul ministero

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Michele Zaccardi
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Tra i diversi peccati capitali dell'economia italiana che vengono denunciati ogni giorno ce n'è uno che non passa mai di moda: l'evasione fiscale. Un tema caro alla sinistra, che da anni non perde occasione per additare i furbetti come la causa dei problemi del Paese. Il refrain è sempre lo stesso: le tasse sono alte perché molti non le pagano. E finché non verranno pagate, sarà impossibile abbassarle. «Il fisco italiano in questo momento è un colabrodo e consente un'evasione fiscale micidiale. Perché l'immunità di gregge ce l'abbiamo sull'evasione» tuonava a luglio del 2020 Pier Luigi Bersani. Certo, l'ex segretario del Partito democratico contava sui dati ufficiali, quelli del Ministero dell'economia (Mef). Come si legge nell'ultima relazione sull'economia sommersa allegata alla Nadef (ovvero la nota di aggiornamento al Def) 2021, il "tax gap", ovvero la differenza tra quanto dovrebbe entrare nelle casse dello Stato e quanto invece viene effettivamente riscosso, è stato pari a 99,3 miliardi di euro nell'anno 2019. In media, tra il 2014 e il 2019, il valore si è attestato a 105,2 miliardi: un'enormità. Di questi, la maggior parte, 93,5 miliardi, riguardano le entrate tributarie, mentre il resto, 11,6, i contributi.

PROSPETTIVA
Ma è proprio così? Secondo Pietro Boria, ordinario di diritto tributario all'Università La Sapienza di Roma, i conti non tornano. In un volume di trecento pagine, che uscirà a breve, dal titolo Una nuova visione dell'evasione fiscale in Italia, l'accademico, insieme ad alcuni colleghi, ha rifatto i calcoli: i miliardi sottratti ogni anno all'erario, esclusi i contributi, non sono i cento indicati dal Mef ma circa quindici. Numeri importanti, certo, ma non così grandi da rappresentare un'emergenza nazionale come quella che viene presentata soprattutto dal centrosinistra. Per arrivare a questa cifra, Boria e colleghi hanno utilizzato una metodologia diversa da quella adoperata dal Mef nelle sue stime. «La letteratura economica dice che quel metodo, top down, è sbagliato», spiega il professore dell'ateneo romano, «è infatti altamente congetturale: parte da stime teoriche e poi scende giù per vedere quanto vale l'evasione. Noi abbiamo adottato un metodo induttivo, "bottom up": si parte dall'analisi dei settori economici e poi si cerca di capire a quanto ammonta l'evasione».

INVERSIONE
Al contrario del sistema "top down", che stima l'imponibile totale e poi lo confronta con quanto è stato dichiarato dai contribuenti, il bottom up è molto più preciso: si basa sui dati dell'Agenzia delle Entrate, del Mef e dell'Istat, relativi a singole categorie di contribuenti, la cui diversa fedeltà fiscale viene quindi "pesata". Risultato: tra Iva, Irpef, Ires e Irap l'evasione stimata dallo studio è pari a 9,912 miliardi contro gli 86,65 miliardi indicati nella Nadef del 2017. Considerando un arrotondamento per eccesso, per tenere in considerazione eventuali imprecisioni e altri tributi minori, si arriva così alla cifra di 15 miliardi. Per imprese e lavoratori autonomi il divario tra le stime del Ministero e quelle dello studio raggiunge i 54 miliardi di euro: 60 miliardi contro 5,8. Questi valori sono dovuti anche a errori nel calcolo dell'Iva evasa. «I tecnici del Mef partono dalla somma complessiva delle transazioni soggette a Iva e, considerando l'aliquota al 22%, concludono che manca una parte del gettito. Ma è una premessa che andrebbe rivista: moltissime prestazioni hanno infatti un'Iva ridotta al 4%, al 10%, mentre in qualche caso ci sono delle esenzioni. E poi ci sono molti settori che negli ultimi anni sono andati in crisi: se uno fallisce e non paga l'Iva non è un evasore». Ma i risultati a cui giunge lo studio trovano conferma anche nelle statistiche dell'Agenzia delle Entrate. «Negli ultimi dieci non si è mai recuperato più di dieci miliardi all'anno, spesso anche di meno» sottolinea Boria. «Ma è possibile che, con un'evasione da cento miliardi di euro e con tutti gli sforzi profusi dall'amministrazione tra controlli e verifiche, non si riesca a recuperare di più? Non viene il dubbio che forse non c'è davvero tutta questa evasione?». Un esempio viene dalla fatturazione elettronica. «Dalla sua introduzione tra privati nel 2018 ci si aspettava di recuperare quattro miliardi all'anno per tre anni, cioè dodici miliardi: ne sono stati recuperati solo due». «Ora» aggiunge il professore di diritto tributario, «non è detto che l'evasione sia quindici miliardi: nessuno ha la verità in tasca dal momento che stiamo misurando una cosa invisibile. Però, applicando il metodo "bottom up" al Regno Unito, un Paese che ha parametri molto simili ai nostri, sia per la popolazione che per il Prodotto interno lordo, risulta un'evasione di 35 miliardi contro i 100 miliardi delle stime del Mef». Insomma, i numeri ufficiali sono gonfiati. Eppure sono molti i partiti italiani che pensano di avere disposizione un tesoretto con cui finanziare le proprie promesse elettorali, a cominciare dal Partito democratico di Enrico Letta. «La storia che si abbasseranno le tasse perché si recupera l'evasione fiscale è una finzione» sottolinea il professor Boria. «È una narrazione al servizio di una scelta di politica fiscale: i governanti devono assumersi delle responsabilità. Bisogna avere il coraggio di dire che quell'evasione non c'è, che il sistema fiscale va ammodernato, reso più efficiente ed equilibrato». 

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