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Papa Francesco "è vecchio": l'affondo di Ratzinger in Conclave

Francesco Capozza
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Anche oggi anticipiamo alcuni passaggi del libro «Nient' altro che la Verità», scritto da Monsignor Gänswein con il giornalista Saverio Gaeta (Piemme editore).
Come vi abbiamo iniziato a raccontare ieri, il libro di Mons. Georg Gänswein, per trent' anni uomo ombra e fidatissimo segretario personale del defunto Benedetto XVI, è così ricco di racconti, di retroscena esplosivi e di più o meno velate critiche al Pontefice regnante, Jorge Bergoglio, che non poteva certamente essere raccontato tutto in un solo articolo. Siamo dunque nuovamente qui, anche oggi, per svelarvi altri aneddoti esplosivi contenuti nel volume di prossima uscita (12 gennaio).
Nel capitolo intitolato "Gli incompresi segni premonitori", Gänswein si beffa di coloro che, negli ambienti vaticani come tra i giornalisti, non avevano notato alcuni dettagli che, già nel 2012, preludevano all'eccezionale gesto che di lì a pochi mesi avrebbe compiuto Ratzinger.

 

 

 


IL MINI CONCISTORO

Racconta infatti il monsignore: «Analizzando i fatti a posteriori, molti commentatori anche autorevoli hanno sottovalutato un importante evento del precedente novembre, quando si era svolto un mini-Concistoro con la creazione di 6 nuovi cardinali elettori, dopo che appena a febbraio ne erano stati creati ben 18.
All'epoca, la spiegazione dei vaticanisti aveva fatto riferimento alla predominanza di europei (13, e fra loro addirittura 7 italiani) nell'appuntamento di inizio 2012, cui si era voluto rimediare successivamente con l'inserimento di 5 extraeuropei. Non fu però adeguatamente percepita la presenza dell'arcivescovo James Michael Harvey, unico a ricoprire un ruolo curiale fra i nominati. È vero che l'ecclesiastico posto a capo della Casa pontificia è quasi sempre divenuto membro del Collegio cardinalizio, come documentano ben 92 porporati, su un totale di 97 responsabili che si sono succeduti negli ultimi 4 secoli, ma questo è accaduto generalmente al termine del loro incarico, non mentre erano ancora in attività». Prosegue Gänswein: «In effetti, questa fu una personale idea di Benedetto XVI, il quale me l'aveva accennata per la prima volta a fine settembre 2012, spiegandomi che riteneva il posto di prefetto della Casa pontificia, che Harvey avrebbe lasciato in seguito alla nomina cardinalizia, come il più adatto per me».
Con quella nomina Ratzinger intendeva garantire la sopravvivenza (curiale, s' intende) del suo pupillo, ben conscio dello spoil system che anche in Vaticano è sempre attuato ad ogni cambio di pontificato. Ma nelle intenzioni di Benedetto, spiega il suo segretario, c'era anche quella «di ricoprire una funzione di trait d'union con il successore». Fu così, quindi, che il 6 gennaio 2013, a poco più di un mese dall'annuncio della storica rinuncia, Ratzinger consacrò vescovo il suo fido collaboratore nominandolo contestualmente Prefetto. Inoltre, sottolinea Gänswein: «Benedetto mi fece comprendere che tra le motivazioni di quella nomina, in quel tempo che praticamente coincideva con la grazia concessa a Paolo Gabriele, c'era anche l'intenzione di documentare pubblicamente che lui non condivideva le accuse che da qualche parte mi erano state rivolte per una presunta mancata vigilanza nella vicenda del Vatileaks, riconfermando la sua piena fiducia nei miei confronti».

 

 




LE CARRIERE

Oltre all'annotazione divertita sul "buco" giornalistico appare palese anche il richiamo alla tradizione storica legata alle carriere ecclesiastiche e la neanche troppo velata sottolineatura al Pontefice regnante su quel che è la prassi consolidata qualora decidesse di rimuoverlo dall'incarico che ricopre: innalzarlo alla porpora. Niente male! Ripercorrendo quegli ultimi mesi, mons. Georg fa un'altra rivelazione in merito alla rinuncia che per anni si è voluto far credere non fosse stata ampiamente pianificata: «Verso metà ottobre Benedetto mi comunicò di aver riflettuto su dove andare a vivere dopo la rinuncia e di aver avuto l'idea di trasferirsi nel "Mater Ecclesiae", il monastero di clausura voluto da Giovanni Paolo II. Si era informato e aveva scoperto che le monache ivi residenti erano appena andate via.

 

 

 

IL SOPRALLUOGO

Perciò, durante un'udienza di tabella, il Papa informò il sostituto Angelo Becciu riguardo alla rinuncia (un altro che, quindi, sapeva da tempo n.d.r.), esprimendogli il proprio desiderio per l'abitazione. Con l'arcivescovo, quasi da congiurati, una sera di novembre ci recammo senza dare nell'occhio a visitare la struttura e ci rendemmo conto che occorreva realizzare una ristrutturazione degli spazi. Venne incaricato un architetto per la progettazione e poco dopo cominciarono i lavori. L'aspetto divertente fu che man mano la voce si sparse in Vaticano, attribuendo però l'iniziativa al cardinale Bertone, che secondo la vox populi stava preparando la residenza dove ritirarsi in pensione: di comune accordo, lasciammo correre il pettegolezzo, in modo da depistare ogni possibile sospetto». Da notare che anche in questo capitolo Gänswein non manca di punzecchiare Bertone, che in effetti per molti la vera «causa di tutti i mali» di quel Pontificato. Ma eccoci alle pagine più salienti del libro, non fosse altro perché dall'addio al Pontificato in avanti si aprono pagine con continui racconti e aneddoti che vedono come protagonista Jorge Mario Bergoglio, Papa Francesco.
 

 

LA TELEFONATA

Si giunge ai giorni fatidici del Conclave 2013, che il segretario di Ratzinger racconta, iniziando il capitolo "Il rapporto tra i due Papi", così: «In quel periodo mi recavo ogni mattina in Prefettura e rientravo a Castel Gandolfo nel primo pomeriggio. Ma il 13 marzo decisi di fermarmi sino alla fumata serale, cosicché, non appena il colore bianco rese evidente che il nuovo Papa era stato eletto, mi recai in sala Regia e quindi mi misi in fila nella Cappella Sistina per esprimergli l'atto di obbedienza.
Francesco, quando giunsi a salutarlo, non mi lasciò nemmeno aprire la bocca per fargli gli auguri, anticipandomi con la richiesta: "Vorrei parlare con Benedetto. Lei può aiutarmi?". Lì dentro i cellulari non funzionavano, cosicché mi affrettai in una stanza limitrofa, dove era stato predisposto un telefono dei servizi tecnici. Ma nessuno rispondeva perché, come poi ho saputo, erano tutti davanti al televisore e avevano silenziato gli apparecchi telefonici. Nessuno di loro immaginava che potesse giungere subito una tale chiamata. A quel punto ho avvertito Papa Francesco e lui mi ha detto di continuare a provare, in modo da potersi mettere in collegamento più tardi. Al rientro dalla Loggia delle benedizioni, Papa Francesco mi ha raggiunto vicino al telefono, io ho fatto di nuovo il numero e gli ho passato la cornetta, mentre dall'altra parte Benedetto prendeva il cordless. Ovviamente mi sono allontanato e non ho ascoltato quanto Papa Bergoglio diceva, mentre don Alfred (il secondo segretario n.d.r.) sentì la risposta di Benedetto: «La ringrazio, Santo Padre, perché ha pensato a me. Io prometto la mia preghiera per lei!». Senza dubbio, però, la parte più gustosa di questo capitolo, è quella in cui Gänswein rivela candidamente che l'arcivescovo di Buenos Aires, già candidato a bloccare l'elezione di Benedetto nel Conclave del 2005 (lo abbiamo raccontato ieri) non era minimamente tra coloro che Ratzinger riteneva potessero succedergli. Racconta il monsignore: «Dagli scarni commenti che il Papa emerito si lasciò sfuggire nei giorni successivi, potei comprendere che il nome di Bergoglio gli giunse inatteso. Ho pensato, ricordandomi che voci attribuite a cardinali presenti nel Conclave del 2005 avevano citato l'arcivescovo di Buenos Aires come un protagonista di quel momento, che forse Benedetto si era fatto il conto che gli anni erano trascorsi anche per il confratello argentino!». Piuttosto, ricorda il segretario: «I suoi pronostici guardavano verso tre figure: l'italiano Angelo Scola, arcivescovo di Milano, il canadese Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi, e il brasiliano Odilo Pedro Scherer, arcivescovo di San Paolo». 

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