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Papa Ratzinger è morto? Girano strane voci sul prossimo Conclave

Francesco Capozza
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Con la morte di Benedetto XVI torna di estrema attualità la possibilità che Francesco, il pontefice regnante, possa rinunciare anch' egli al ministero petrino. C'è anche chi lo consiglia pubblicamente, come il neo -presidente della Conferenza episcopale americana, il conservatore moderato Timothy Broglio, il quale al termine delle esequie di Ratzinger ha candidamente affermato: «Lo scontro nella Chiesa è salito di tono, il Papa soffre, ritirarsi è una strada». Alla possibilità che Bergoglio decida effettivamente di farsi da parte ci credono in pochi in Vaticano, ma è pur sempre un uomo di 86 anni con problemi di mobilità evidenti e che peraltro non celebra più una Messa da ormai diversi mesi.

Tuttavia, inutile negarlo, le manovre perla successione sono in atto da tempo, da ben prima che Papa Ratzinger passasse da questo mondo a Dio. Le dichiarazioni degli ultimi giorni di Mons. Georg Gänswein e le anticipazioni del suo libro in uscita ("Nient' altro che la verità", edizioni Piemme), con le inevitabili prese di posizione pro e contro che ne sono derivate, hanno però evidenziato che gli schieramenti sono pronti a darsi battaglia in quello che sarà, a tempo debito, uno dei conclavi più traumatici e combattuti della storia recente. Conservatori, tradizionalisti, ratzingeriani (fermamente convinti o di convenienza) contro riformisti, progressisti, bergogliani (pure questi più o meno autentici) sono già pronti a schierare le loro truppe per quando verrà il momento di riunirsi al cospetto del Giudizio Universale, inteso ovviamente per l'affresco michelangiolesco della Cappella Sistina.

 

FRONTI OPPOSTI
Se sul fronte bergogliano i nomi sono noti, come quello del filippino Luis Antonio Tagle, del presidente della Cei e arcivescovo di Bologna Matteo Maria Zuppi e, soprattutto, del capo della conferenza episcopale europea Jean-Claude Hollerich (gesuita, tanto per cambiare), un anti-salviniano di ferro, gli avversari che si rifanno al Papa emerito defunto e ai valori tradizionali della Chiesa di Roma lavorano su un paio di nomi di cui uno, in particolare, è tenuto nascosto da tempo per non essere bruciato. Noi di Libero però, primi tra tutti, siamo in grado di rivelarne il nome: Willem Jacobus Eijk, arcivescovo metropolita di Utrecht (Paesi Bassi). È lui che l'ala conservatrice schiererà a tempo debito, quando con tutta probabilità numerosi scrutini saranno andati a vuoto. Dopo aver magari provato con Robert Sarah, il cardinale guineano molto vicino a Ratzinger ma rimasto comunque in rapporti dignitosamente umani con Bergoglio. E dopo forse aver tentato la carta del cardinale ungherese Péter Erdö, arcivescovo di Budapest. Entrambi hanno l'età giusta, 70 anni (Eijk è nato nel 1953, Erdö nel 1952), ma mentre il nome del secondo è conosciuto da tempo, come pure quello di un altro cavallo di razza tra i conservatori moderati, il cardinale Marc Oullet - su cui però ormai grava il peso dell'età, 79 anni, e il fatto di essere già stato bruciato in due conclavi, nel 2005 e nel 2013 - entrambi innalzati alla porpora da Giovanni Paolo II, il cardinale olandese è stato fino ad oggi poco preso in considerazione sia dai media che dalle gerarchie vaticane.

 

Creato cardinale da Benedetto XVI nel suo penultimo concistoro, il 18 febbraio 2012, Eijk è un nome su cui pochi analisti si sono soffermati; una mossa assai opportuna, forse "pilotata" da chi lavora da tempo alla sua candidatura. Eppure in patria è conosciutissimo, soprattutto perla sua forte propensione al conservatorismo, con posizioni particolarmente dure sia in materia di aborto che di omosessualità. Non solo: il porporato olandese è anche uno dei pochi che hanno sottoscritto gli ideali espressi nei famosi Dubia, il documento nel quale quattro cardinali ultra -conservatori, Raymond Leo Burke, Walter Brandmüller, Joachim Meisner e Carlo Caffarra (gli ultimi due defunti, Brandmüller ormai prossimo ai 90 anni e quindi fuori dai giochi elettorali), espressero fortissime critiche a Bergoglio dopo la pubblicazione dell'esortazione apostolica papale Amoris Laetitia in materia di dottrina della Chiesa, possibilità per i preti di sposarsi e riammissione ai sacramenti per i divorziati. A quelle domande, sotto forma appunto di "dubbi", Francesco non ha mai risposto.

AUTOCANDIDATURA
Infine c'è chi lavora da tempo e silenziosamente ad una propria candidatura, nel caso in cui le due fazioni si elidano a vicenda com' è accaduto in tanti conclavi nella storia: è il caso del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin. Il fine diplomatico sa benissimo che la sua, in un'eventuale situazione di stallo, sarebbe la carta giusta da calare al momento opportuno. Un papa di compromesso, riconducibile in parte a Bergoglio, perché ne è da dieci anni il primo ministro, ma distante e appartato; nulla a che vedere con le ingombranti personalità di Bertone o, prima di lui, di Sodano. Parolin non è bergogliano, pur essendo a capo della macchina diplomatica di Francesco, ed è un profondo estimatore della Sacra liturgia, senza però essere un pasdaran dell'ortodossia. Qualcuno oltretevere lo definisce addirittura, sogghignando, un "ratzingeriano nascosto". Sono questi i candidati forti delle truppe attualmente in assetto di guerra, una "Guerra Santa" a cui tutti si preparano con una sola incognita: Bergoglio lascia?

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