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Faenza, 81enne fugge dalla Rsa: dove la ritrovano, una storia straziante

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Cappottino elegante bianco e nero, in una mano un’agendina e il portafogli, nell’altra il bastone per sorreggersi. «Buongiorno signor Paolo, si ricorda di me? Sono venuta per vedere il mare. Posso stare qui alcuni giorni?». Lei è nonna Rosa, in rocambolesca fuga per la libertà. Stanca delle solite minestrine dell’ospizio, questa signora 81enne è scappata da una Rsa - così si chiamano ora le case di riposo - di Faenza, provincia di Ravenna.

Ha organizzato la sua fuga da sola, cambiando due treni (Faenza, Rimini e Ravenna) per raggiungere l’Hotel Flora a Bellaria-Igea Marina, quello delle sue vacanze estive da una vita, quello della sua giovinezza spensierata. Le mancava il mare, le mancava forse la vita libera. Non l’ha fermata né il freddo pungente di quest’inizio di primavera che sembra una coda dell’inverno, né la fatica di camminare dopo un recente intervento all’anca.

Subito dopo colazione, la signora - che per una vita ha lavorato come dirigente in una azienda privata - vestita tutto punto, senza dimenticare l’agenda con numeri e indirizzi, ha sfidato la sorte approfittando di una distrazione del personale e ha lasciato la struttura per anziani dove da anni vive. «Io non ci torno nella casa di riposo», ha detto, per giustificarsi, alla fine dell’avventura.

«Lì ti danno solo minestrine scialbe, mele lesse e prosciutto di cent’anni fa. Poi c’è gente che grida la notte invocando la madre». Tanto è bastato all’intrepida nonnina per girare i tacchi e andarsene. Passo dopo passo, si è diretta alla stazione, per nulla vicina, ed è salita sul primo treno. Aveva comunque un obiettivo in testa: raggiungere “il suo albergo al mare”, quello della famiglia Vannoni, gestori dal 1926.
«Ha suonato il campanello del mio hotel - spiega il titolare, - sono uscito e l’ho vista davanti al cancello. Mi ha detto che desiderava soggiornare qui qualche giorno, le ho spiegato che eravamo chiusi e che le stanze erano fredde, non potevo farla dormire qui. Ha esclamato stupita: “E allora adesso io come faccio?”».

Nonna Rosa, del resto, era solo qui che voleva tornare. Negli anni Cinquanta in questa struttura ricettiva veniva la madre, una signora distinta, raffinata ed elegante come lei, atrascorrere le vacanze. Poi la tradizione vacanziera nella Riviera romagnola è passata a lei e alle sue due figlie, «clienti ospiti fisse per cinquant’anni», sottolinea Paolo. «Persone per bene, all’epoca facevano come tutti pensione completa e se ne stavano tutto il giorno al mare o alle terme. Era sempre lei, solo più invecchiata». Il signor Vannoni le ha consigliato un vicino hotel aperto tutto l’anno. «Se vuole può lasciare qui le valigie», le ha proposto. Ma lei: «No, grazie signor Paolo. Non ho valigie». Poi l’ha vista allontanarsi lentamente, sorretta dal suo bastone, per dirigersi a piedi verso la vicina spiaggia. Immaginiamo si sia seduta sulla sabbia, nonostante il freddo e il vento di questi giorni, a osservare il mare. A respirare la libertà perduta.

Si è poi fermata in un bar a mangiar qualcosa, rimuginando il da farsi. Due le ipotesi, sempre legate dalla bussola del cuore: recarsi «nella favolosa Lisbona, in Portogallo», dove aveva trascorso una villeggiatura, o rifugiarsi dalla zia che abita su un’isola lontana. Ma anziché salire su un altro treno, complice la stanchezza, nella sua mente ha prevalso la soluzione a chilometro zero: chiedere aiuto, recandosi in chiesa. Qui ha raccontato al parroco il suo malessere, i suoi desideri. Il prete l’ha ascoltata, paziente. Poi ha chiamato le forze dell’ordine, che dopo lunghe trattative sono riusciti a ricostruire la sua fuga e a contattare la casa di riposo faentina e la sua amministratrice di sostegno. Ma nonna Rosa insisteva: «Dite che sto bene - ha ripetuto, - ma che non tornerò più lì, né in altre strutture. Mi sento nel pieno delle forze». Difficile esaudire i suoi desideri.

Intanto la nonnina, stretta nel suo cappotto bianco e nero, raccontava ai soccorritori di nottate da incubo nella Rsa; dell’amarezza di chi, dopo aver rotto i ponti con i figli che, stando alle sue parole, «mi buttano giù il telefono quando chiamo», vede che nessuno le dà retta. Il peso della solitudine è gravoso, così come ascoltare le lamentele degli altri anziani, spesso costretti in un luogo in cui forse, come la nostra coraggiosa nonna, non sarebbero mai voluti entrare. Ecco, Rosa in Riviera ci è tornata. Da sola, con il suo bastone e tanta voglia ancora di respirare tutto d’un fiato la vita. Poi l’ultimo vano appello: «Le Rsa sono luoghi che ti risucchiano la vita o quello che ne resta. Gli altri hanno deciso per me e scappare è l’unica scelta. Meglio la strada, anzi la morte. Rivoglio la mia libertà».

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