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Vittorio Feltri, 1° maggio nel mirino: "Più un lavoro ti strema..."

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 Vittorio Feltri

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Non ho mai capito perché il Primo Maggio, promosso a festa del lavoro, l’Italia si fermi, nessuno o pochi sgobbino, quasi fosse scoppiata la bomba atomica. Perfino le redazioni dei quotidiani ieri, come altri anni, hanno chiuso i battenti, benché i giornali più che luoghi in cui ferva l’attività sembrano dei bar dove non si beve ma si chiacchiera. Spesso a vanvera come d’altra parte fanno vari cittadini. Molti dei quali infatti invece di scendere in piazza ad ascoltare i comizi idioti dei sindacalisti hanno preferito andare in vacanza, profittando del cosiddetto ponte, cioè della circostanza che il 30 aprile fosse domenica. Hanno fatto bene poiché le tv non si sono astenute dal mandare in onda i soliti programmi noiosi, inclusi i notiziari che hanno diffuso i discorsi dei capipopolo, tutti uguali, banali e retorici. Roba disgustosa che puntualmente ci viene propinata, sempre la stessa solfa dedicata al precariato, alla disoccupazione, ai salari troppo bassi, agli infortuni nelle fabbriche come fossero più gravi di quelli stradali.

 

 

 

In certi casi repetita non iuvant nemmeno per sogno. Dimostrano che il nostro Paese non è vero che invecchi, essendo già vecchio da lungo tempo. Uno dei temi più logori affrontati dai tribuni riguarda il futuro occupazionale dei giovani, molti dei quali emigrano per fare i camerieri a Londra anziché a Roma perché a loro pare più chic. La realtà nostrana è diversa dalle narrazioni correnti. Parecchi ragazzi non studiano in quanto svogliati cosicché non imparano neppure un mestiere, ciò che impedisce loro di essere assunti, poiché chi non sa fare niente ovvio che non abbia la possibilità di impiegarsi. Dico cose ovvie ma le ripeto nella speranza, vana, che entrino in testa almeno a qualcuno. Nell’immediato secondo Dopoguerra la gente era ben più misera di oggi, eppure era armata di buona volontà. Per dimostrarlo cito il mio caso.

Quando avevo sei anni rimasi orfano di padre, e avevo due fratelli. Mia madre, poveraccia, dovette sgobbare per sostenere la baracca. Io, che ero il più piccolo, terminata la scuola media, che allora era una cosa seria, mi resi conto che non potevo gravare sulla mia famiglia oberata, pertanto trovai, rispondendo a un annuncio pubblicato da un giornale, un incarico quale fattorino presso un negozio di cristalceramica. Lo stipendio era miserrimo, però lo integravo con le mance. Insomma mi mantenevo. Un anno dopo migliorai la posizione, fui assunto in un negozio, Abitex, che vendeva confezioni di abbigliamento. Qualifica: apprendista commesso. Già meglio. Frequentai un corso serale di vetrinista e presi il diploma. Mi misi in proprio: 5000 mila lire a vetrina era il compenso. Ne facevo due o tre al giorno e guadagnavo parecchio. Avevo 17 anni.

A 18 o poco più, avendo accumulato una certa cifra, decisi di smettere e ripresi a studiare come privatista. A maturità faticosamente acquisita vinsi un concorso pubblico e fui incluso nell’organico della Amministrazione provinciale di Bergamo. Il mio ruolo era quello di applicato, un termine che non usa più. Nel frattempo collaboravo col quotidiano della Curia, grazie alla raccomandazione di un prete che mi aveva seguito negli studi parlandomi in bergamasco o in latino, per cui imparai bene la lingua di Giulio Cesare. Ma che fatica. Mi dimisi da burocrate con posto fisso e iniziai a fare il giornalista, un campo nel quale ne ho combinate di ogni colore. Faccio questo mestiere abbastanza duro da circa 60 anni e non sono sazio. A giugno compio 80 anni e sono ancora qui a fare prediche in cui io stesso credo poco. Ma guadagno e non mi annoio.

 

 

 

Vi ho raccontato la mia storia non per darmi arie, non sarebbe il caso, però per fare capire agli adolescenti che per campare decentemente bisogna faticare, per cominciare va bene qualsiasi occupazione, poi pian piano ci si arrampica verso la cima. Più il lavoro ti strema e meno infelice sei. Pensate a me. Col tempo e la grinta sono pure riuscito a prendere una laurea che vi assicuro non è servita a niente. Mi ha aiutato molto la voglia di non restare povero.

 

 

 

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