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Grecia, la cafonata degli italiani: "Che lavoro di mer***". E sui soldi...

Carlo Nicolato
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«E tu che lavoro fai?». A rivolgermi improvvisamente la parola mentre in un angolo all’ombra del kafenion leggo il mio libro - che non è La Recherche di Proust - è un uomo sulla cinquantina, capello lungo e brizzolato, un accenno di barba grigia e occhiali da sole. Una specie di Briatore dall’accento padano con pendente da avventuriero al collo, che alla mia risposta sbotta senza esitazione «che lavoro di merda!». «No, non fraintendermi» chiarisce, «ma tutti i lavori sono così, almeno quelli che non si fanno per un ideale più elevato...». «E lei cosa fa per vivere?», incalzo a mia volta. «Ma io sono un fortunato, un colpo di culo più di venti anni fa ormai, ho svoltato ai tempi della bolla tecnologica. In pratica non lavoro più».

AFFARI
Sergio, così dice di chiamarsi, racconta di aver comprato casa a Patmos con una parte di quella fortuna, e di averne presa un’altra in un’isola vicino, a Lisso, più nota con il nome greco di Lipsi. Dice che di norma le sue estati le passa così, tra un’isola e l’altra, di essere insomma l’avanguardia privilegiata di quell’esercito di centinaia di migliaia, forse milioni, di italiani che tra luglio e agosto transumano rumorosamente in Grecia, tra lo Ionio e l’Egeo, spinti da un ineluttabile richiamo che trascende il mare cristallino, le casette bianche e l’ombra delle tamerici. E sì perché per prima cosa verrebbe la pena chiedersi perché tanti di noi anziché starsene in Italia a godersi il mare nostrum, che non è da meno, e le bellezze delle nostre città, che sono certamente superiori, vanno a sollazzarsi nella bistrattata terra d’Omero. “Italiani greci, una faccia una razza” diceva qualche anno fa il “pope” in Mediterraneo svelando una comunanza storica, etnica e culturale che dalla Magna Grecia arriva appunto al film di Salvatores, passando per i romani, Venezia, Genova, l’annessione del Dodecanneso, sottratto alla Turchia, e l’inutile e dannosa guerra proclamata dall’Italia fascista, celebrata ora solo dagli stessi greci il cui “Oxi” (“No”) del 28 ottobre 1940 alle pretese del Duce corrisponde alla festa nazionale del Paese.

C’è voluto poco però perché gli italiani ritentassero l’invasione con i modi e i mezzi che gli sono propri, quelli del turista caciarone e spendaccione. A questa nuova ondata di lanzichenecchi latini i greci non hanno certo risposto “Oxi”, hanno lasciato piuttosto che gli italiani anziché spezzare loro le reni se le spezzassero da soli, portando in cambio non poco denaro e ricchezze. Sergio è anche solo uno delle migliaia di italiani che hanno comprato casa sulle isole elleniche attirati da prezzi convenienti, almeno fino a qualche anno fa. Questi sono generalmente gli italiani che in Grecia si atteggiano a ricchi, fanno i signori parlando di soldi, colf filippine e barche arrotando la r, mentre a casa loro magari tirano la carretta, come chiunque altro, in lavori che Sergio considera giustamente di merda. Si sentono a casa loro, in fondo il Dodecaneso era o non era italiano?

SBARBATI Il grosso dei vacanzieri italiani tuttavia è fatto da una svariata tipologia di viaggiatori che va dal giovane sbarbato attirato dalle località più in voga e ormai letteralmente sputtanate dai social, all’ex giovane stempiato che si illude che la Grecia sia ancora quella di 40 anni fa, quella che ha sognato respirando le atmosfere rarefatte di Mediterraneo, la cui uscita nelle sale cinematografiche ha rappresentato esattamente l’inizio dell’invasione e la fine delle stesse. Poesia e nostalgia, ma tra gli italiani ci sono anche quelli che tristemente si trascinano da casa lavoro e guai come la connessione che permette loro di "lavorare in remoto". Smartphone alla mano, rigorosamente adornata di svariati bracciali, passano da una videochiamata sotto l'ombrellone con i figli ormai 20enni a telefonate senza fine con i colleghi da cui trapelano qua e là miserie di varia natura.

VOCE ALTA
Sono gli stessi che generalmente all’aeroporto li senti millantare, sempre per telefono e ad alta voce, contratti per milioni. Tra gli italici in Grecia vanno anche annoverati i collezionisti di isole, una sottospecie di una categoria più ampia che confonde il turismo con il viaggio e che segna con una bandierina sulla mappa del proprio orgoglio ogni meta toccata. Sono quelli che al ristorante, tra una familiare soutzoukakia e un popolare kalamaki, li senti scandire i nomi delle isole più remote come in un’antica poesia, Donoussa, Koufonissi, Schinoussa, Agathonissi... A questi illusi cantori della loro presunta esclusività, fanno da contraltare i turisti decathlon, quelli che equipaggiati tutti allo stesso modo dalla nota catena francese, sbarcano sulle isole, anche le più cosmopolite, con la stessa circospetta meraviglia dell’avventuriero che va al safari. Direte giustamente che sono prevenuto, che sono affetto dalla più tipica malattia degli italiani snob che all’estero schifano, considerandolo burino, ogni altro connazionale che passa sulla loro strada.

È vero, non lo nascondo, ma nemmeno nascondo che anche io ogni anno vado in Grecia, che pure io faccio parte di quelle categorie di cui sopra, o forse di tutte, e come tale posso dirvi che in conclusione, tirate le somme, i turisti italiani sono di gran lunga i migliori. Quantomeno molto raramente facciamo parte della categoria peggiore, che è quella dei turisti di gruppo e degli spilorci. Ogni italiano in viaggio in fondo cerca solo di voler sembrare quello che in realtà non è, un peccato veniale che irrimediabilmente paga rivelando quello che in realtà è.

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