Cerca
Logo
Cerca
+

Scontrini, fate attenzione: come ci stanno fregando durante le ferie

Claudia Osmetti
  • a
  • a
  • a

Però, cari ristoratori, albergatori, gestori di bar e tavole calde, proprietari di caffè, chioschi e punti ristoro, datevi una calmata. Ché d’accordo l’inflazione e i costi delle materie prime e il lavoro (sacrosanto lavoro che va pagato altrimenti è volontariato) e la crisi energetica e tutto quel che volete. Ma esiste un limite. E due euro per tagliare un toast lo supera abbondantemente. Anche perché poi, vedete, il rischio è che il conto salato (quello da mazzata vera), alla fine, lo paghiamo un po’ tutti. In termini di figuracce in un settore nel quale di figuracce non se ne dovrebbero proprio fare, specie se sei uno dei Paesi col più alto potenziale del pianeta: il turismo.

Coi viaggiatori che ci stanno attenti (dato che l’inflazione e il rincaro dei costi e la crisi energetica toccano pure loro: mica è una prerogativa di chi apre una locanda col menù fisso). Controllano lo scontrino, i viaggiatori: s’indignano e s’impuntano e decidono c h e sai-che-c’è?-L’ anno-prossimo-in vacan z a - v ado-da-un’altra-parte. Non c’è mica solo il bar Pace di Gera Lario, in provincia di Como. Quello degli oramai famosi due euro (han fatto il giro del web, son rimbalzati ovunque) battuti sotto la dicitura “diviso a metà”, in modo da doverci pagare assieme pure l’Iva, mancasse qualche spiccio, per un toast vegetariano con patatine da condividere che da solo, senza richieste aggiuntive, viene 7,5 euro e, a essere del tutti onesti, pure quella, di tariffa, pare un tantinello eccessiva.

C’è anche la trattoria di Finale Ligure che per un piattino vuoto (lo ha ordinato la mamma di una bimba di tre anni che voleva assaggiare una forchettata di trofie al pesto della mamma) fa pagare altri due euro (sempre con Iva al 10%, sia mai). O la frisella (che è una ciambella di pane secco, bagnata e condita con del pomodoro fresco: un piatto della tradizione povera, di quando si mangiava con poco) di usi IVI servita a 16 euro in Puglia; o la puccia salentina (un panino fatto con una pasta che richiama quella della pizza, sale, acqua, lievito e farina, stop: dentro non ci sono scaglie di tartufo o cucchiate di caviale) a 26 euro; o la Sacher torte lievitata (fin troppo) a 8,90 euro la fetta in un locale del centro di Trieste. È una lista (della spesa) infinita ma che, per carità di patria, la chiudiamo qui: tanto l’antifona l’abbiamo capita e, per certi versi, anche giustificata. Perché voi, cari ristoratori, albergatori, gestori di bar e tavole calde, proprietari di caffè, chioschi e punti ristoro, fate un lavoro preziosissimo.

Siete l’anima, la spina dorsale, del terzo settore. Vado-in-Italia-perché-almeno-si-mangia-bene. Solo che ora bisogna girare con la carta di credito a portata di mano. Sia chiaro: di ristoratori e albergatori e via dicendo che sono onesti e che fanno i salti mortali per garantire un servizio eccellente nonostante i prezzi aumentati delle zucchine e del pane e del burro ce ne sono tanti. Sono pure la maggioranza. Però poi ti capita quello che ti dice «abbiamo dovuto lavare due piattini al posto di uno e il tempo è raddoppiato, se l’avessero detto subito questo supplemento non l’avrebbero pagato» (il bar del Comasco, per capirci) e ti cadono le braccia. Ma che scusa è? Oppure ti imbatti nel ristorante di Finale Ligure che fa spendere alla mamma incredula altri due euro per un boccone di pasta (la denuncia arriva dalla giornalista Selvaggia Lucarelli, sui soliti social).

Ecco, appunto. I social. Sono l’altra faccia della medaglia. Perché cari ristoratori eccetera eccetera, non siamo più negli anni Ottanta. C’è internet oggi. Non funziona più che magari ci provi, a fare il furbo, tanto-quei-due-americani-quando-li-ribecchi, e chi s’è visto s’è visto. Oggi la cattiva pubblicità circola in rete e rimane lì, in un commento su Tripadvisor che lo vedono migliaia di utenti, magari a più riprese, magari anche la prossima stagione. Dài, su. Siamo seri. Son solo due euro ma proprio perché son solo due euro non vale la pena ritrovarsi col locale vuoto e il passaparola sul groppone. È come scivolare su una buccia di banana. A proposito, la banana quanto viene?

Dai blog