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Le Foche massacrato, ecco chi è il 36enne che lo ha ridotto in fin di vita

Claudia Osmetti
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È schizzato in piedi all’improvviso. Si è scagliato contro il medico che aveva di fronte, ha dato in escandescenza e lo ha aggredito. Lo ha massacrato di botte in un studio, il suo, in via Po, nel quartiere Salario, a Roma. Era convinto, lui, Renato M., un pregiudicato di 35 anni, di avere una grave malattia infettiva alla colonna vertebrale ed era convinto pure che non fosse stata curata a dovere. 

Quando il dottore (che poi è il professore Francesco Le Foche, immunologo clinico dell’ospedale Umberto I della capitale, uno di quei medici che con calma e pazienza ci hanno spiegato la pandemia del Covid dal 2020 in avanti, 65enne, sempre pacato, sempre misurato, capelli bianchi e fisico asciutto) lo ha visitato, giovedì pomeriggio, mica poteva aspettarselo. Che lo avrebbe colpito al volto, una, due, chissà quante volte. A dare l’allarme è stata la segretaria di Le Foche che, nella stanza attigua, ha sentito un tafferuglio e s’è intimorita: è entrata e ha trovato il medico con la faccia tumefatta. In sala d’attesa c’erano diverse persone che hanno chiamato il 112.

E allora le sirene, quelle dell’ambulanza (prima) e delle volanti della polizia (dopo). Perché Le Foche è finito dritto dritto al policlinico nel quale lavora, ossia all’Umberto I, ma come paziente. In gravi condizioni. Non è in pericolo di vita e ieri è riuscito a mandare alcuni messaggi a parenti e conoscenti facendo saper loro che «mi sento meglio». Però ha subito diversi accertamenti. Però è ricoverato nel reparto Maxillofacciale. Però ha rimediato una frattura al naso e al pavimento dell’orbita oculare (che, tra parentesi, è anche la cosa che preoccupa di più i colleghi che ora lo stanno seguendo).

 

 

Però in queste ore sarà sottoposto, con ogni probabilità, a un intervento chirurgico. Mentre Renato M. è stato bloccato dagli agenti che sono intervenuti in via Po, è stato arrestato e dovrà vedersela con un’accusa per tentato omicidio. Che non è una passeggiata manco quella, ma uno non può neanche alzare le mani e prendersela con un medico che sta facendo il suo lavoro, sostenendo di non aver ricevuto la giusta terapia.

 

Le aggressioni ai medici sono sempre più frequenti e quella di Le Foche, purtroppo, è solo l’ultima di una lunga serie. A luglio, a Milano, un 56enne, al Policlinico è balzato addosso al dottore che stava visitando la madre e gli ha spezzato una gamba. A Pisa, era aprile, una psichiatra di 55 anni è finita in prognosi riservata, è stata operata, era in condizioni critiche e alla fine è deceduta, dopo che un suo paziente le ha teso un agguato fuori dal reparto nel quale prestava servizio. A Udine, a gennaio, una guardia medica di appena trent’anni durante un turno serale, per poco non è morta strangolata dal parente di un paziente che poi è fuggito a gambe levate. A Milano (e fermiamoci qui che la carrellata degli orrori basta e avanza e il senso s’è capito), nel dicembre scorso, nel parcheggio dell’ospedale San Donato, un medico di 76 anni è stato gravemente ferito con un machete. Con un machete. Erano i nostri eroi ai tempi del Sars-Cov2: applaudivamo il loro camice e le pieghe sulla faccia dovute alla mascherina. E adesso, neppure a un anno e mezzo di distanza, li picchiamo, insultiamo, critichiamo. 

Signori, ma cosa ci prende? Secondo l’Inail, l’Istituto nazionale per gli infortuni sul lavoro, le aggressioni al personale sanitario sono circa 1.600 ogni anno. Vuol dire che se ne verificano più di quattro al giorno. Ossia che ogni sei ore c’è un chirurgo o un infermiere o un tecnico di radiologia che viene preso a pugni o minacciato. Così non va. «Desidero esprimere la mia solidarietà a Le Foche, vittima di un’aggressione inaudita», dice il ministro della Salute Orazio Schillaci, «un episodio di violenza che lascia sconcertati. Quest’anno abbiamo previsto misure importanti dirette a presidiare la sicurezza degli operatori sanitari. Ma è evidente che dobbiamo lavorare per promuovere un cambiamento culturale che permetta di riscoprire l’alleanza tra medico e paziente». Amen. Ma impariamola, ’sta lezione: perché un medico spaventato o malmenato è un guaio per tutti.

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