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Normale di Pisa, delirante appello pro-Gaza: "Come alliev*, molto preoccupat*"

Claudia Osmetti
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Cattivi maestri, e studenti pure. Ché il rimando italiano del tanto berciato “from the river to the sea” va dall’ateneo al rettorato. Università occupate, presidi annunciati, professori in rivolta. Hanno iniziato i 143 docenti di Bologna che, già la settimana scorsa, hanno firmato un appello per chiedere (in soldoni) il boicottaggio di Israele, poi ci sono stati i collettivi (bandiera rossa e kefiah al collo) alla Orientale di Napoli e adesso il “river” non è tanto il Giordano ma un fiume in piena che scorre qui da noi.

Nelle aule magne e nei chiostri, nei piazzali e nei cortili delle università di mezza Italia. Dicon tutti le stesse cose, tra l’altro, e cioè dicon quel che la propaganda pro-Palestina ripete dal 7 ottobre: che Hamas si-vabbè-però semmai è colpa dell’occupazione israeliana e vuoi mettere il regime di apartheid imposto da Gerusalemme?

Ieri, sul social X (ex Twitter), Clelia Li Vigni, una studentessa della Scuola normale superiore di Pisa, si è addirittura superata. Si è sfogata in un messaggio (anzi, in nove di fila) pieno zeppo dei soliti slogan anti-israeliani (della serie «è necessario storicizzare») e ha cominciato così: «Come alliev*, pofessor* e impiegat* della Scuola normale siamo profondamente preoccupat* per gli eventi che si stanno verificando in Palestina». Il resto dell’appello è facile immaginarselo, Gaza come «prigione a cielo aperto del mondo» e i «palestinesi privati di diritti (per la verità le è scappato il t9 e ha scritto “iritti”, ma sarà stata la foga della passione: ndr) e libertà sotto l’occupazione militare»: semmai è l’asterisco da oltranzista del politically correct che salta all’occhio. È notorio che Hamas ci tenga, a certe questioncine di forma.

 

Tra l’altro sugli ostagg* tenuti prigionier* nei tunnel sotto la Striscia manco una parola, nemmeno mezza schwa di solidarietà. Va così, son ragazzi. Come son ragazzi quelli dell’organizzazione giovanile comunista Cambiare rotta che, ancora ieri, han chiamato l’adunata alla Bicocca di Milano: «La nostra prima assemblea per una nuova università in una nuova società». Volantino dell’evento: la foto (vecchia) di un corteo recente, «con la Palestina fino alla vittoria». Luogo del ritrovo: piazzetta Difese delle donne (azzeccato, ecco). Un po’ più a nord-est, a Padova, un manipolo di duecento studenti dell’università cittadina sono entrati nel Palazzo del Bo, che poi è la sede della loro università, bardati al collo novelli Yasser Arafat del ventunesimo secolo e qualche cappuccio verde, e hanno occupato il cortile manifestando, di nuovo e ancora, per la Palestina-libera. 

Non è successo un tafferuglio, hanno srotolato un lenzuolo con su scritto «Non stare in silenzio» e han domandato se era possibile entrare al Senato accademico per esporre le loro posizioni. Scusi-è-permesso? Non proprio il fuoco della rivoluzione, ma meglio così. E a proposito del bisogno di «storicizzare», sì sarebbe proprio il caso di farlo. Hai visto mai che con un libro di storia si potrebbe pure imparare qualcosa? Non necessariamente all’università, sia chiaro.

 

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