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Cassazione: mani al collo alla moglie, condanna esemplare

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"Non volevo ucciderla". La giustificazione che ha dato l'uomo denunciato dalla moglie, dopo che essere stata presa per il collo e spinta verso il muro, non regge. Aveva provato a impugnare la sentenza di secondo grado che lo aveva condannato tentando di dimostrare di non avere mai provato a ucciderla, ma la Corte di Cassazione ha confermato la condanna a dieci anni, dovendo rispondere di tentato femminicidio. I giudici della suprema corte hanno sentenziato infatti che anche se non ci sono ferite l'aggressione deve essere deve essere considerata al pari dell'omicidio

La Cassazione sottolinea come il grado di pericolosità del gesto compiuto contro la donna aggredita vada stabilito prima che sia messo in atto, senza tenere conto delle conseguenze in concreto prodotte. Ed è ininfluente l’assenza o la scarsità delle lesioni provocate, perché questa è una variabile che può dipendere da più circostanze, che non c’entrano con la volontà dell’uomo violento: un imprevisto movimento della vittima, un errato calcolo della distanza o l’intervento di un terzo.

Interferenza che, nel caso esaminato, c’era stata perché il figlio minore aveva cercato di aiutare la madre, bloccando il padre. Lo stesso ragazzo ha confermato la denuncia della donna: il padre l'aveva spinta contro il muro e, esercitando una pressione crescente, l'aveva sollevata da terra, provocandone l'offuscamento della vista e una momentanea perdita di conoscenza.

 

 

 

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