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Natale, quando i giorni di festa si trasformano in una fonte d'ansia

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Steno Sari
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Un anno fa Vittorio Feltri, in un editoriale pubblicato su Libero in occasione delle festività, raccontava la sua antipatia verso il Natale, “un’occasione per radunare in sala da pranzo un numero elevato di parenti che spazzolano quantità enormi di cibo”. Scriveva: “Cosa c’entrano i cenoni della vigilia, con relative abboffate di cibo, col sacrificio di un martire che si dice addirittura essere stato figlio di Dio?”. Conosco Vittorio da quasi cinquant’anni e in più occasioni abbiamo parlato di questo argomento: come non dargli ragione? Si dirà: il Natale è la sola occasione dell’anno in cui tutta la famiglia si ritrova, un periodo in cui ci si sente quasi obbligati ad essere felici.

È vero, per molti è una bella giornata che si aspetta con ansia. Ma per altri è un giorno caratterizzato da depressione e nevrosi. Secondo alcuni il “Christmas Blues” – caratterizzato da abbassamento dell’umore, ansia, stress e pensieri negativi – colpisce quasi una persona su due. Evidentemente questa giornata sembra non provvedere una magica soluzione dei problemi e diventa paradossalmente un’occasione dove c’è chi va in crisi e cede alla malinconia e al senso di vuoto. Si celebrano in pompa magna gli ideali di benignità, generosità e amore, che vengono poi disattesi nella realtà della vita quotidiana dove regna comune avidità e indifferenza. Siamo onesti, anche i doni di Natale sono spesso un dare forzato con motivazioni errate, solo per fare bella figura. Molti si sentono costretti a dare con l’ansia di cercare di indovinare quello che l’altro vorrebbe ricevere per proiettare una conveniente immagine di sé.

Questo priva della gioia legata all’altruismo e alla spontaneità e così spesso si è delusi se il dono è inferiore alle aspettative. Alcuni arrivano addirittura a misurare l’amicizia dal valore dei regali che si scambiano. Forse in nessun altro periodo dell’anno ha meno senso la frase: “È il pensiero che conta”. A proposito della retorica natalizia, in questi giorni si parla molto di “pace in terra fra gli uomini di buona volontà”. La realtà è molto diversa. Soprattutto in questo periodo dell’anno liti e discussioni in famiglia sono all’ordine del giorno. I parenti si riuniscono e bevono, e si mettono a discutere dei problemi che hanno avuto in passato e disseppelliscono l’ascia di guerra che era stata sepolta e che avrebbe dovuto rimanere sepolta. Non è la prima volta che “lo spirito natalizio” viene rovinato da una lite feroce fra parenti, coniugi, genitori e figli.

Per quanto riguarda poi la pace mondiale, stendiamo un velo pietoso... I Vangeli non indicano il giorno della nascita di Gesù e la storia ci insegna che il Natale era una festa ignota ai cristiani dei primi tre secoli e che le sue origini, evidentemente pagane, vanno ricondotte al “Dies Natalis Solis invicti”, il giorno della nascita del sole non sconfitto. Ma, a prescindere da ciò, a che serve credere che Cristo nacque e festeggiarlo se non pratichiamo ciò che egli insegnò o se non esercitiamo fede nel suo messaggio? Non è forse vero che il Maestro invitava a vivere l’essenziale con sobrietà, praticando una generosità non ostentata, genuina e discreta, indipendente dal calendario?

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