Cerca
Logo
Cerca
+

Alessia Pifferi, l'accusa: "Test manipolati per favorire la difesa della madre killer"

Alessandro Dell'Orto
  • a
  • a
  • a

Le spiegavano cosa dire, invece di ascoltarla. E, anziché darle conforto, la manipolavano nei test intellettivi per dimostrare che avesse un deficit tanto grave da poter - durante il processo - richiedere la perizia psichiatrica. Più che psicologhe, una sorta di “praticanti avvocati”: questo, almeno, è quanto ipotizza la procura che ha messo sotto indagine per favoreggiamento e falso ideologico le due professioniste del carcere di San Vittore che hanno redatto la relazione (dopo aver effettuato test per stabilire il quoziente intellettivo) su Alessia Pifferi, a processo a Milano per omicidio pluriaggravato: è la donna che, nel luglio 2022, ha lasciato morire di stenti la figlia Diana di 18 mesi, abbandonandola in casa da sola per 6 giorni. 

Accuse pesanti che accendono ancora di più un caso già delicato, che fin dall’inizio ("Le chiedo gentilmente di non sgridarmi. Io pensavo che il latte nel biberon che le avevo lasciato in casa bastasse", ha risposto la donna durante l’interrogatorio nell’ultima udienza dello scorso settembre) ha dimostrato che lo snodo della questione sarà soprattutto uno: Alessia Pifferi era capace di intendere e di volere oppure no? Già, ecco perché quest’ultimo provvedimento dei magistrati dà un colpo deciso alla vicenda e, contemporaneamente, alimenta nuovi dubbi: se fosse vero, quanti altri processi potrebbero essere stati condizionati da perizie poco trasparenti, quanti lucidi assassini in questo modo sono riusciti a limitare i danni?

 

 

Con le due psicologhe è indagata per falso ideologico anche l’avvocato della Pifferi, Alessia Pontenani (ha richiesto una nuova perizia psichiatrica, poi disposta dalla Corte d’Assise, che verrà depositata a fine febbraio), perché, partecipe dello stesso «disegno criminoso», avrebbe attestato «falsamente» per la sua assistita un quoziente intellettivo di 40, ossia di «deficit grave», con «scarsa comprensione delle relazioni di causa ed effetto e delle conseguenze delle proprie azioni». Ciò che viene contestato dal pm Francesco De Tommasi, dunque, è soprattutto la relazione basata sui colloqui con le psicologhe che avrebbero svolto una «vera e propria attività di consulenza difensiva, non rientrante» nelle loro «competenze». La procura, insomma, punta a far togliere dal fascicolo quella perizia giudicata «viziata», che si trova attualmente fra i documenti che dovranno essere analizzati: questa relazione, secondo l’accusa, sarebbe solo frutto di una strategia difensiva che punterebbe a far ottenere alla Pifferi un vizio di mente tale da modificare l’imputazione che passerebbe da omicidio pluriaggravato punibile con l’ergastolo a morte a seguito di abbandono di minore, quindi morte come conseguenza di un altro reato.

 

 

Il presunto falso ideologico, relativo al test, riguarda invece «il diario clinico» redatto dalle psicologhe, le quali avrebbero attestato con quell’esame una «scarsa comprensione delle relazioni di causa ed effetto e delle conseguenze delle proprie azioni» da parte della Pifferi, mentre «il test psicodiagnostico di Wais al tal fine somministrato» non era «fruibile né utilizzabile a fini diagnostici e valutativi, in quanto non rispondente alle metodiche di somministrazione e documentazione previste dalla manualistica e dalle buone prassi di riferimento». Oltre a mettere sotto indagine le due psicologhe (hanno 44 e 59 anni), la procura ha effettuato perquisizioni nelle loro abitazioni e nei loro studi sequestrando computer, cellulari, documenti cartacei e trovando molti farmaci e 10mila euro in contanti: ora ci sarà da accertare la provenienza di questi medicinali e capire se fossero custoditi per poi essere venduti.

 

 

Sì, perché il sospetto è che le psicologhe abbiano applicato lo stesso metodo di «supporto psicologico» anche ad altri. Da qui la delega alla polizia penitenziaria di sequestrare le cartelle cliniche contenente le relazioni dei colloqui avuti dalle due professioniste con altre quattro detenute, tra cui la cartomante Lucia Finetti- che uccise il marito e che si trova attualmente a San Vittore -, e Patrizia Coluzzi, che soffocò la suo bambina di due anni con un cuscino. Dura la presa di posizione dell’avvocato Mirko Mazzali, che assiste una delle psicologhe e che solleva dubbi sulla perquisizione in casa della sua assistita: «Sorge il fondato sospetto che tale perquisizione nasconda finalità estranee alla condotta commessa dalla mia assistita e voglia indagare sulla sua attività lavorativa complessiva, accusandola più per il merito dei pareri espressi che per il metodo con il quale si è pervenuti a tali pareri». È un «provvedimento finalizzato alla ricerca di documenti in possesso dell’istituto penitenziario e quindi facilmente rintracciabili- spiega Mazzali - che pone sotto sequestro cellulari e computer per cercare fantomatici rapporti con una detenuta» e «documentazione concernente altre detenute non oggetto dei capi di imputazione». In merito all’indagine, invece, l’Ordine degli avvocati di Milano ha diramato una nota dal titolo «L’avvocato in pericolo siamo tutti noi», in cui si legge tra l’altro: «Non si comprende l’urgenza di compiere atti di indagine, posto che i documenti ricercati sono custoditi in un istituto penitenziario e, dunque, ben difficilmente oggetto di dispersione. Non si comprende tale urgenza neppure rispetto a un atto istruttorio il cui risultato è tuttora ignoto, e il cui perito incaricato si troverà a dover fare valutazioni nel merito con lo spettro di un’indagine, che potrà sempre essere estesa».

 

 

Dai blog