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Bologna, l'ultima follia: meglio non dire "fratellanza"

 Matteo Lepore

Simona Pletto
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Guai a dire "fraternità": è una parola sessista, come "fratellanza" e "paternità", perché rimanda al genere maschile. Eccolo qui, uno degli illuminati concetti contenuti nel vademecum che arriva da Bologna "la Dotta". Un manuale che potrebbe anche cambiare documenti e delibere comunali - di fatto bandendo l’uso universale del maschile - voluto dagli amministratori Pd per “educare” i dipendenti (e dare un buon esempio ai cittadini) a un linguaggio politicamente corretto. Dunque, dopo i criticati bagni no gender imposti a Palazzo d’Accursio per chi non si sente né donna e né uomo, l’amministrazione comunale guidata dal sindaco Matteo Lepore ha divulgato questo nuovo manuale “rispettoso delle differenze di genere” a cui ora si devono adeguare perlomeno coloro che lavorano nella sede comunale di Bologna, ma eventualmente anche chi partecipa a presentazioni di libri, incontri, convegni che coinvolgono la stessa amministrazione pubblica.

Come detto, secondo il linguaggio inclusivo imposto da Palazzo d'Accursio, la parola "fratellanza" tra le nazioni è praticamente bandita e dovrebbe essere sostituita con la locuzione "solidarietà (umana) tra le nazioni", proprio perché "fratellanza" rimanda a "fratello," dunque al solo genere maschile. Mentre le cariche istituzionali, politiche e amministrative, devono essere declinate al femminile quando ricoperte da una donna: quindi, sindaca, assessora, consigliera, funzionaria, direttrice, la capo area.

 

 

Il manuale, dal titolo “Parole che fanno la differenza”, già dalle prime righe spiega che: «Il gender è un concetto culturale, sociale e simbolico, non biologico». Chiarissimo. Dopo aver esposto la storia del colore rosa e di come sia stato associato alle donne solo a partire dagli anni ‘50 - notizie indispensabili per il buon funzionamento della pubblica amministrazione -, si continua a insistere sull’importanza di scrivere e comunicare rispettando le differenze di genere.

Segue una demonizzazione del genere maschile, che viene normalmente utilizzato per rivolgersi a una pluralità di persone di genere diverso o a singole persone di cui non conosciamo il genere, e quindi si viene istruiti con esempi, riportati su un simpatico sfondo giallo, in cui viene spiegato cosa è sconsigliato e cosa è consigliato dire. Guai a dire “gli italiani” ma “il popolo italiano”, non “i fratelli” ma “fratelli e sorelle” o “sorelle e fratelli”, non “anziani” ma “persone anziane”. È sconsigliato attribuire la “paternità” di un’opera a un’artista donna, al limite le si deve attribuire la “maternità”. Subito dopo si parla di utilizzo di termini neutri (non si dice “il magistrato” ma “la magistratura”, invece di “i dottori” meglio “il personale medico”, e così via), per poi passare ai pronomi relativi e indefiniti: si sconsiglia di dire “i dipendenti che aderiscono allo sciopero”, e di sostituirlo con “chi partecipa allo sciopero”. Infine si passa alle parafrasi: non dite più “ti sei lavato le mani?”, ma “hai ricordato di lavare le mani?”.

 

 

Nelle e-mail, comunicati stampa, inviti e volantini, si consiglia invece di utilizzare schwa e asterischi vari, per «un’amministrazione sempre più attenta e inclusiva». Qui la lezione è davvero basica, come gli esempi proposti: “Bella questa giacca, dove l’hai presa?”, risponde l’amico/a/*: “È fatta su misura, l’ha fatta il sarto Maria Teresa”. Poi ci sono le “eccezioni che abbiamo assorbito senza problemi, perché non sono una novità”. Vada sé, quindi, che il signor Mario Bianchi può essere una vittima e Federico Rossi una pedina del gioco, ma Giulia Bongiorno non può essere un avvocato.

«Come amministrazione vogliamo creare un linguaggio in cui tutti i cittadini e le cittadine si sentano valorizzati e valorizzate nelle loro differenze, per dare visibilità a una diversità di genere», sottolinea la vicesindaca Emily Clancy. «Nominare i lavori dal punto di vista femminile significa togliere discriminazione, dare valore alle persone» le fa eco Rita Monticelli, docente universitaria e consigliera delegata del sindaco ai diritti umani. «La delibera che dà indicazioni precise su come utilizzare il linguaggio di genere ricorda Maurizio Ferretti, direttore del settore Innovazione del Comune-, è un manuale di uso pratico, in cui cercare suggerimenti per la stesura quotidiana dei documenti». Di certo, per mettere al rogo il genere maschile, il sindaco Lepore ha messo al lavoro (e magari anche pagato) non poche persone. Per poi però essere subito criticato dai suoi stessi compagni di partito. Proprio dalle file del Pd è arrivata la richiesta di rivedere le linee guida del manuale antisessista. «Risparmiate la parola “fraternità”, perché non può essere sostituita con “solidarietà”», ha lanciato l’appello Cristina Ceretti, consigliere comunale del Pd parlando di errore linguistico. Ma pazienza. In nome della parità di genere questo ed altro.

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