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Mattia, il bimbo in coma da 7 anni per un pezzo di formaggio: "La pediatra? Ha detto che era stanca"

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"Non adesso, sono stanca è tutto il giorno che corro". Una frase, quella della pediatra dell'ospedale di Trento, che forse è costata la vita al piccolo Mattia di 4 anni. Dal 2017, il bambino vive in stato vegetativo, accudito dalla madre e dal padre, Gian Battista Maestri. Il geometra di 49 anni, intervistato dal Corriere della Sera, ha ripercorso quel dannato 5 giugno 2017 in cui la vita della sua famiglia è stata stravolta. Un pezzo di formaggio, realizzato con latte crudo in un caseificio della Val di Non, ha stroncato suo figlio.

"Mio figlio dopo aver mangiato il formaggio — ne era ghiotto — si è sentito subito male, siamo corsi prima all’ospedale di Cles dove l’hanno tenuto in osservazione, poi visto l’aggravarsi della situazione l’hanno trasferito a Trento. Al pronto soccorso pediatrico, la dottoressa che lo visitava ha chiesto un consulto alla pediatra, che però le ha risposto: "Non adesso, sono stanca è tutto il giorno che corro. L’abbiamo sentita noi". Un rifiuto che ha ritardato la diagnosi: la Seu, causata dagli escherichia coli presenti nel latte. E, nel frattempo, il bambino è stato operato di appendicite dalla dottoressa di turno che non aveva riconosciuto i sintomi.

 

 

L'intervento ne ha peggiorato rapidamente le condizioni. "È entrato in coma ed è stato ricoverato per un mese in terapia intensiva all’ospedale di Padova e per un anno in una clinica riabilitativa a Conegliano, dove ci hanno potuto solo insegnare come gestirlo a casa, ormai era in uno stato vegetativo insanabile. Mia moglie si è licenziata e da quel momento lo gestisce giorno e notte: 47 farmaci al giorno, uno ogni ora e mezza".

La dottoressa ora è stata rinviata a giudizio per lesioni e rifiuto di atti d’ufficio: "Una grande soddisfazione per me e mia moglie Ivana. È una battaglia civica: quella dottoressa dovrebbe cambiare lavoro, invece si trova ancora al suo posto in ospedale". Se nei suoi confronti la giustizia sta facendo il suo corso, la stessa cosa non si può dire per i proprietari del caseificio che hanno venduto il formaggio contaminato. Per loro il giudice di pace ha disposto una multa di appena 2.478 euro. "La colpa principale rimane del caseificio, se mio figlio non avesse mangiato quel formaggio starebbe bene. Eppure era un prodotto consigliato proprio per la merenda dei bambini. Dopo questa tragedia, al caseificio sociale di Coredo è stato conferito il marchio di qualità per un prodotto, un riconoscimento che ci indigna.
Vogliamo che ritirino la targa e che si dimettano i responsabili dell’Azienda per il turismo che lo ha consegnato. E vietino i prodotti con latte crudo per i bambini come in Francia".

 

Quanto a suo figlio, purtroppo, la situazione è ormai disperata. Ma Gian Battista e la moglie non mollano: "È una sofferenza. Anche io non lavoro ora. Ma è una battaglia che conduciamo per gli altri, per mio figlio non c’è più niente da fare, è sempre più grave, l’ultimo ricovero è stato due settimane fa. La malattia non si ferma, ma vorremmo che fosse rispettato".

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