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Italia tentata dalla naja, Cavo Dragone: "Abbiamo pochi soldati"

Cavo Dragone

Mirko Molteni
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Se ne parla dall'inizio della guerra russo-ucraina nel 2022, e l’allarme è stato rinnovato ieri dal capo di Stato Maggiore delle forze armate italiane, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone. Di fronte al rischio di una guerra di massa, basata sulla quantità, l’Italia si ritrova con reparti e arsenali al lumicino, incapaci di sostenere campagne prolungate per mesi ad alta intensità di fuoco.

Cavo Dragone l'ha fatto capire in un’audizione informale alle commissioni Difesa e Esteri di Camera e Senato: «Non abbiamo abbastanza uomini. Siamo sottodimensionati, 150.000 è improponibile, 160.000 è ancora poco, 170.000 siamo al limite della sopravvivenza. Mediamente ci strutturiamo su turni di due e sono stressanti». Si riferiva al complesso di Esercito, Marina e Aeronautica (esclusa l'Arma dei Carabinieri). L'Esercito conta 94.000 militari, gran parte dei quali non impiegabili in prima linea perché assolvono mansioni logistiche o amministrative. Marina e Aeronautica sono rispettivamente a 30.000 e 41.000 effettivi. Il totale fa 165.000 militari, il 6% donne.

 

 

Durante la Guerra Fredda avevamo pressoché il doppio di effettivi, grazie al servizio militare obbligatorio. Altra epoca, l'efficienza media dei reparti era altalenante, poiché un anno di naja non era sufficiente a trasformare un civile in un militare esperto. Ma, in linea di principio, il paese aveva una “profondità strategica”, in termini di riserve, superiore a quella attuale. Si pensi anche solo ai carri armati, settore in cui oggi solo una parte dei 200 Ariete è efficiente.

Oggi, nell'enorme “cimitero di carri” delle boscaglie di Lenta, in provincia di Vercelli, giacciono 3.000 fra vecchi carri e cingolati da fanteria dismessi negli ultimi 40 anni. Di essi, almeno i Leopard più recenti e meno deteriorati potrebbero essere restaurati come riserva d’emergenza.

L’esperienza in missioni internazionali, non ultima la Aspides in cui il nostro cacciatorpediniere Duilio ha abbattuto droni degli Huthi nel Mar Rosso, dimostra l'altissima professionalità delle forze italiane. Ma, dopo gli ultimi 30 anni in cui il “mantra” era quello dei piccoli corpi di spedizione in regioni instabili, la nuova crisi Russia-NATO riporta la storia al 1990.

 

Ecco perché Cavo Dragone ha enfatizzato: «Continuerò a chiedere più uomini fino a che non mi cacciano». È ancora prematuro pensare di ripristinare la leva obbligatoria, sospesa e non abolita. Ma se all'aumento degli organici risultasse insufficiente il ricorso ad aspiranti professionisti, l'Italia potrebbe seguire la strada di molti Paesi europei che hanno conservato o reintrodotto la leva, dall'Austria alla Svizzera, dalla Norvegia alla Svezia. Costerà, perché dall'1,45% del PIL dedicato alla Difesa, dovremo, negli anni, arrivare al 2% raccomandato dagli Stati Uniti.

L'ammiraglio ha ricordato anche come sia cruciale per l'Italia far sentire la sua presenza nell'area del Mediterraneo Allargato, dalle coste del Nordafrica fino al Sahel e al Corno, su, fino al Medio Oriente, nell'arco di crisi in cui proliferano terrorismo e criminalità. Spicca l'esempio del Libano dove sono schierati un migliaio di militari italiani delle missioni Unifil e Mibil, a cui farà visita la premier Giorgia Meloni durante il viaggio di oggi e domani nel Paese dei cedri. Insomma, la sicurezza del nostro Paese inizia da una fascia a migliaia di chilometri dai confini, per la quale servono uomini e mezzi nella sufficiente quantità.

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