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Caivano, denunciati 10 genitori di bimbi Sinti: pugno di ferro del governo

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Claudia Osmetti
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Una decina di casi e una ventina di genitori indagati, per il momento. Denunciati in coppia oppure da soli, dipende da chi ha effettivamente la potestà genitoriale, a Padova, dalla procura, perché i loro figli, a scuola, ci vanno poco o per niente. È una delle prime applicazioni in assoluto delle disposizioni del decreto Caivano: quello voluto, con convinzione, dalla premier Giorgia Meloni; quello contestato, con un po’ meno convinzione ma sono i tempi che sono, dall’opposizione; quello che ha introdotto addirittura la pena della reclusione in carcere per i genitori negligenti quando si tratta dell’educazione dei loro ragazzi.

E allora eccoli lì, in Veneto, quei dieci bambini e adolescenti del Padovano, tutti regolarmente iscritti alle scuole elementari o medie (ossia a quelle dell’obbligo), tutti tra l’altro appartenenti a famiglie di etnia sinti, tutti con dei buchi enormi sul diario scolastico, fatti di assenze ingiustificate e periodi lunghi, troppo lunghi, lontani dalla lavagna. C’è (come racconta il quotidiano locale Il Gazzettino) chi su quattro mesi di lezione si è presentato a malapena alla metà, chi s’è fatto vedere in aula ancora meno, chi non ha dato spiegazioni quando si è seduto, di nuovo, a fianco del compagno di banco dopo settimane passate altrove.

 


In quindici giorni, gli ultimi quindici giorni di marzo, sono arrivate, ai magistrati veneti, diverse denunce: una decina, appunto. A firmarle è sempre stato un dirigente scolastico di un plesso nel quale quei minori dovevano presentarsi e, invece, non l’hanno più fatto. Ci hanno provato, i presidi. Hanno “ammonito” le famiglie, cioè han mandato loro a casa una lettera, assieme al sindaco del Comune di residenza, in cui li si avvisava che non frequentare (o frequentare senza continuità) la scuola dell’obbligo, in Italia, non si fa. Epperò niente. Sono scaduti i termini e sono scattate (col decreto Caivano) le denunce: adesso spetta ai pm indagare e verificare come e perché questi ragazzini hanno saltato un po’ troppe interrogazioni di italiano e di matematica. I rispettivi genitori potranno (sempre ammesso che ci riescano) dimostrare che non hanno mandato i bimbi a scuola per motivi leciti, i quali sono sostanzialmente due: quelli di salute e la garanzia di un’istruzione privata a casa. Però non potranno far finta di nulla. Una risposta la dovranno pur dare. Anche perché la legge, adesso, parla chiaro: chi impedisce ai propri figli di andare a scuola rischia la gattabuia fino a due anni, e la soglia di assenze tollerate (tranne per quelle provate da motivi gravi) è di quindici giorni a trimestre oppure di un quarto rispetto al monte ore annuo. Passato quel limite (non in maniera automatica, ma cambia poco: il dirigente scolastico deve comunicare la situazione alla famiglia che ha sette giorni per giustificarsi, cosa che è avvenuta a Padova) c’è una sanzione e c’è pure il penale. Punto e chiuso.

 

 

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