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Minorenni pedofili, "in media hanno 15 anni": il caso che sconvolge l'Italia

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Claudia Osmetti
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È uno di quegli aspetti di cui non si parla mai. Eppure, negli ultimi anni, il numero dei ragazzini, cioè degli adolescenti, dei giovanissimi che hanno giusto l’età per prendere il patentino dello scooter, finiti indagati per detenzione di materiale pedopornografico è in aumento. In aumento considerevole, tra l’altro: è cresciuto, nel 2022, di ben tre volte.

Ci sono, per esempio, i sei minorenni (cinque dei quali sono pure ragazze), con meno di sedici anni, su cui s’è mossa, a Menaggio, nel Comasco, a settembre, la procura dei minori perché in una chat di classe facevano girare immagini di bambini costretti a subire atti sessuali. Oppure ci sono, a novembre del 2022, i sette ragazzini denunciati dalla polizia postale a Pescara; gli otto coetanei indagati, nell’aprile del 2021, a Pisa per aver scambiato in rete foto di neonati abusati; i trenta (t-r-e-n-t-a) minori che, nel 2019, sono stati pizzicati nel corso di una maxi operazione contro la pedopornografia on-line che ha coinvolto mezza Italia, da Catania ad Asti, pure loro accusati di divulgazione di materiale hard che coinvolgeva bimbi più piccoli.

La pedofilia, è vero, continua a essere una notizia da prima pagina, scandalizza (giustamente) e fa arrabbiare. Come le tre indagini, di questi giorni, tra Roma e Tivoli e Latina, che hanno portato alla condanna a nove anni di carcere per Mirko Campoli, per le quali è stato richiesto il rinvio a giudizio di Alessandro Frateschi, che forse hanno addirittura un collegamento tra di loro, su cui la magistratura laziale vuole vederci chiaro perché quelle foto, quei video, quei messaggi dell’orrore non possono (e non devono) essere ignorati.

Però, ecco, esiste un altro aspetto, se possibile ancora più agghiacciante, che coinvolge i ragazzini non come vittime ma come “utenti”. Bastano i numeri (li dà il dossier “La lotta alla pedofilia on-line” della polizia postale): nel 2022 si contano 150 ragazzi segnalati all’autorità giudiziaria per episodi di pedopornografia, nel 2016 erano “appena” (si fa per dire) venti, nel 202149. Significa che in appena un anno sono triplicati. E si tratta, quasi sempre di maschi con un età media di quindici anni.

«Sono cambiati gli approcci dei minori con la rete», spiega a Libero Maria Rosaria Romano, la direttrice della Seconda divisione del servizio di polizia postale di Roma: «Oggi ci arrivano prima e quindi si imbattono in una serie di pericoli. È vero, è cresciuto ed è preoccupante, il numero di minori indagati. Malo stesso discorso vale per quelli adescati su internet: il 9% oramai ha tra gli zero e i nove anni». Nel www gli adolescenti «si sentono a loro agio», continua Romano: «Quando avviene uno scambio di materiale pedopornografico sui social, per esempio, le policy delle piattaforme ce lo segnalano».

E qui entrano in funzione gli agenti della postale che fanno un lavoro di “gradualità”, nel senso che «un conto è la detenzione di questo materiale, che è già un reato. Un altro è la sua archiviazione, magari con altri file. Quando facciamo una perquisizione, e può avvenire anche su segnalazione dall’estero, andiamo a vedere queste cose. Ma non ci fermiamo lì. Perché il riconoscimento di chi lo fa è importante, però l’identificazione della vittima lo è ancora di più: dobbiamo interrompere la produzione di quel materiale».

«Purtroppo sono dati che non dovrebbero sorprenderci più di tanto», commenta invece lo psichiatra Paolo Crepet, «Caivano cosa è stato? E lo stupro di Palermo? E ci stiamo riferendo solo a episodi che conosciamo, che sono venuti a galla. Certo, questi casi sono molto brutali e colpiscono: ma quattordici, a quindici anni, i giovani non sanno cosa sia la brutalità. Tuttavia oramai fanno sesso già da prima.

E i social sono veicoli di sessualità. Paradossalmente abbiamo perso la trasgressione: noi adulti siamo ossessionati dall’idea di doverli controllare, anche se non sappiamo più niente di loro. Non essendoci più la “sana contestazione”, si sfogano in un altro modo».
Il che non è né una scusante né una giustificazione, è che «i genitori, sempre più irresponsabili, dovrebbero iniziare a occuparsi dei propri figli», continua Crepet, «per esempio togliendo loro il cellulare.

Ma se lo proponi ti mangiano vivo». «I fattori alla base sono tre», spiega invece Enrico Zanalda, che è il presidente della Sipf, la Società italiana di psichiatria forense: «Anzitutto c’è una facile accessibilità grazie a internet, poi gli adolescenti hanno una forte curiosità sessuale e, di contro, poca consapevolezza del valore dell’illegalità. Questi elementi, uniti alle volte anche a casi di emulazione odi manipolazione, portano a un fenomeno che di per sé è preoccupante, senza dubbio».

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