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L'ironia dei magistrati e l'idea dello sciopero anti-test che non fa ridere

Francesco Damato
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Ogni tanto qualche magistrato, in servizio o in pensione che sia, ma sempre attivo nella polemica, si avventura sulla strada dell’ironia e riesce a essere davvero spiritoso. Non è il caso, certo, di Pier Camillo Davigo, su cui è inutile infierire dopo la condanna in appello a Brescia che, per quanto non definitiva, ha un po’ ammaccato quella corazza d’inviolabilità a torto o a ragione attribuitagli dagli ammiratori, anche in occasione delle sparate più clamorose.
Come quella del colpevole che l’ha semplicemente fatta franca con l’assoluzione. Felicemente spiritoso è stato Armando Spataro qualche giorno fa, proponendo ai protestatari di mettere in testa ai loro documenti il test “ipotizzato” da Giacomo Ebner, giudice del tribunale civile di Roma, che dice: «Solo uno che non è sano di mente trova tutto questo lavoro il più bello del mondo (vero o falso?)».

 

Un test breve, quasi fulminante. Di quelli che la buonanima di Indro Montanelli avrebbe trasformato nel controcorrente di giornata dopo averne cestinati tanti altri venutigli spontaneamente, o suggeriti dai collaboratori che, su sua richiesta, ne sfornavano a decine. E lui si limitava a perfezionare, magari solo con una virgola, quando decideva di ammetterli alla selezione finale. Bei tempi, quelli del Giornale con i corsivi di prima pagina che creavano i maggiori problemi all’editore di turno: Eugenio Cefis prima, nella sostanza, e Silvio Berlusconi poi. Si capisce dallo spreco di aggettivi che non c’è stato lo zampino di Spataro nel documento firmato e spedito al Csm da 108 magistrati contro la misura contenuta in un decreto legislativo già firmato dal presidente della Repubblica. Che non deve averlo poi trovato così scandaloso perché - conoscendolo non avrebbe apposto la sua firma pur considerandola dovuta, non preclusiva comunque di contestazioni nelle sedi consentite, a cominciare dalla Corte Costituzionale, dove arrivano leggi tutte promulgate grazie al consenso del capo dello Stato.

 


Definire il test tanto sgradito a molte toghe, come si fa in quella lettera, «inutile, dannoso, incoerente, insidioso, pericoloso, preoccupante, offensivo» è almeno prolisso, converrebbe probabilmente il pur contrario Spataro. Sette aggettivi - Dio mio - quanti sono i vizi o peccati capitali. Che sono notoriamente la superbia, l’avarizia, l’ira, l’invidia, la lussuria, la gola e l’accidia. Chi di noi non vi è incorso, almeno parzialmente, qualche volta nella vita, con o senza la toga addosso? Tanto sono comunque ammirato dell’ironia di Spataro quanto meravigliato della «convinzione» da lui espressa, o ribadita, della legittimità di un ricorso allo sciopero «come in occasione - ha detto in una intervista a Repubblica - di vari altri assalti alla Costituzione per difenderla con le unghie e i con i denti».

 


Sono lontani purtroppo gli anni di Giuseppe Saragat e di Giovanni Leone. Che in veste di presidenti della Repubblica e dei Consigli Superiori della Magistratura di turno concordarono, rispettivamente nel 1967 e nel 1974, sulla «inammissibilità giuridica» dello sciopero dei magistrati considerando le loro particolari prerogative e condizioni. Poi, si sa, con altri presidenti che praticamente tollerarono, pur essendo anche feroci nelle loro polemiche persino con i magistrati, come la buonanima di Francesco Cossiga, le toghe finirono per comportarsi come altre componenti del mondo del lavoro subordinato.
Scioperarono una volta addirittura contro lo stesso Cossiga, al quale manifestò pubblica solidarietà, e dissenso dai colleghi, con tanto di cartello affisso sulla porta del suo ufficio, un sostituto della Procura della Repubblica di Milano di nome Antonio Di Pietro, Tonino per gli amici.

 


I magistrati hanno ampliato anche con lo sciopero la loro forza contrattuale, chiamiamola così, nei rapporti con gli altri poteri o ordini dello Stato. Ma a scapito, a mio avviso, della loro credibilità e autorevolezza. Che non a caso basta consultare i sondaggi- erano molto più alti prima che cominciassero a scioperare. Tanto che Guido Calogero, commentando nel 1974 il no allo sciopero delle toghe ribadito da Leone, si chiedeva allibito su Panorama: «Potranno scioperare per analogia anche i giudici della Corte Costituzionale? Perché allora non anche il presidente della Repubblica?». E perché non anche- aggiungo io - i deputati e i senatori e via via sino ai consiglieri comunali e circoscrizionali? Giù, giù, sempre più giù, in tutti i sensi.

 

 

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