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Premio Strega, Chiara Valerio e i finalisti: l'apoteosi dell'amichettismo di sinistra

Francesco Specchia
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Non so perché, ma l’immagine più vivida e rappresentativa di Chiara Valerio è il frutto di una sinestesia. La voce ruvida in una qualsiasi rubrica culturale su Radio3; gli occhialetti gramsciani carezzati dalla pioggia mentre il corpo parla, issato dinnanzi a un leggio col simbolo del Pd, sul palco della manifestazione romana “for fairer future”, per un futuro più giusto (che, sarebbe, evidentemente un futuro non di centrodestra...).

Vista la premessa - frutto senz’altro di un mio pregiudizio - non mi ha affatto stupito l’inserimento nella dozzina del Premio Strega della scrittrice/matematica di Scauri. Per il roboante Fulvio Abbate, «amico delle domenica», autocandidatosi - e bocciato - al Premio con il gattopardesco Lo Stemma, l’ostensione letteraria della Valerio allo Strega s’identifichi col trionfo dell’«amichettismo».

 

 

 

«L’amichettismo per lei è funzionale a un progetto di potere, imprenditoriale, politico sostenuto da Elly Schlein stessa, non dalla Valerio direttamente, badi. Quella dello Strega resta una P2 culturale e di sinistra: questi non hanno più eros, passione, al limite c’è soltanto femminismo giansenista sotto il quadretto della beata Michela Murgia» osserva Abbate.

Il quale, in effetti, nota come la Valerio intellettuale-omnibus rappresenti, da sola, la piattaforma programmatica del nuovo corso schleiniano. Valerio, di ‘sti tempi, la trovi in ogni anfratto culturale dem: in qualche modo al Salone del Libro, a Più libri più liberi, proiettata verso il Cda Rai quota Pd, e ora anche, probabilmente candidata alle Europee per i dem a nordest. Ed è un riflesso incondizionato, dunque, sfogliare la sinossi del suo libro proposto dal linguista Matteo Motolose: «Storia nera di personaggi, indagine su una provincia insolita, ritratto di donne in costante mutazione. Niente rimane mai fermo, le passioni, le inquietudini, le verità e gli enigmi, i silenzi del presente e il frastuono del passato: tutto sempre si muove, tutto può sempre cambiare». E, dentro quella sinossi, leggerci metaforicamente l’identikit del Partito Democratico. Intendiamoci non c’è soltanto Chiara Valerio, nell’illuminata dozzina del concorso letterario, ad ispirare resistenza culturale contro «i parvenu di destra al potere». Ma no. Valerio è la punta dell’iceberg.

 

 

 

Per restare nella cronaca gli altri finalisti sono: Sonia Aggio con Nella stanza dell’imperatore (Fazi), proposto da Simona Cives; Adrián N. Bravi con Adelaida (Nutrimenti), proposto da Romana Petri; Paolo Di Paolo con Romanzo senza umani (Feltrinelli), proposto da Gianni Amelio; Donatella Di Pietrantonio con L’età fragile (Einaudi), proposto da Vittorio Lingiardi; Tommaso Giartosio con Autobiogrammatica (minimum fax), proposto da Emanuele Trevi; Antonella Lattanzi con Cose che non si raccontano (Einaudi), proposto da Valeria Parrella; Valentina Mira con Dalla stessa parte mi troverai (Sem), proposto da Franco Di Mare; Melissa Panarello con Storia dei miei soldi (Bompiani), proposto da Nadia Terranova; Daniele Rielli con Il fuoco invisibile. Storia umana di un disastro naturale (Rizzoli), proposto da Antonio Pascale; Raffaella Romagnolo con Aggiustare l’universo (Mondadori), proposto da Lia Levi; Dario Voltolini con Invernale (La nave di Teseo), proposto da Sandro Veronesi. Sarebbe inelegante, qui, sottolineare la desinenza politica dei “proponenti” e dei neo finalisti, o anche del comitato direttivo su cui spiccano nomi di sinistra illustre da Mazzucco, a Sinibaldi, da Maraini a Pedullà. Ma questo non è un problema.

 

IL CRITERIO

Il problema, semmai, sta nella spiegazione che, della scelta della “dozzina”, dà proprio la presidente del Comitato direttivo Melania Mazzucco, parlando di abbondanza di «narrazioni oblique e non finzionali, composite, di taglio saggistico, memoriale o confessionale. Ma ritorna il romanzo d’impianto più classico, sia d’ambiente contemporaneo sia storico, con una lingua media, spesso intarsiata di dialetto, e un ritmo rapido, talvolta adattato alla serialità televisiva». Cioè, in pratica, è un patchwork di stili, «non c’è un canone» commenta Simonetta Bartolini, docente, scrittrice e selettrice del Premio. Bartolini afferma che «su 82 titoli se ne dovevano scegliere 12. Lo si è fatto, ma senza criterio. Le scremature si fanno sulla base della definizione di un canone letterario, che può piacere o no, ma almeno è un criterio selettivo. Qua si procede sempre per cooptazione amicale. Ma così il premio perde di significato». E, evidentemente è così.

Non staremmo qui a sgranare i soliti argomenti speciosi sul metodo. Ed è inutile rimarcare il fatto che degli 82 libri in prima selezione, solo in otto hanno superato le cinquemila copie vendute (Donatella Di Pietrantonio, Fabio Genovesi, Antonella Lattanzi, Michela Marzano, Marcello Veneziani, Paolo Di Paolo, Eleonora Mazzoni, e appunto, Chiara Valerio) - ventisei titoli hanno superato le mille copie - ben 48 titoli candidati allo Strega non sono riusciti a vendere più di 300 copie. Né di conseguenza, accenneremo al fatto che dei suddetti bestselleristi Mazzoni, Genovesi o Veneziani fuori dai grandi giri che contano (ci sono anche i piccoli giri che contano) siano stati ignorati alla selezione più stringente. Continua ad esserci sempre qualcosa che stride, la sensazione di una coazione a ripetere nella selezione. La vera notizia è che entrano a far parte degli Amici della Domenica Roberto Andò, Alessandro Baricco, Anna Bonaiuto, Giulia Caminito, Giordano Bruno Guerri, Mauro Mazza, Antonella Polimeni, Loretta Santini e Roberto Vecchioni. Facce nuove - alcune che non avresti mai detto - per aria nuova. Forse.

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