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Polizia, i sindacati contro la sinistra: "Clima d'odio"

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Tommaso Montesano
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«Queste cose succedono perché non si ha rispetto delle divise. Chi la indossa, deve fare da deterrente. Invece non è più così». E non certo per colpa degli agenti, precisa Fabio Conestà, segretario generale del Movimento sindacale autonomo di polizia (Mosap). «Si deve investire di più sul controllo del territorio, ma anche sui nostri uomini e la certezza della pena». Ma soprattutto, è il clima intorno alle Forze dell’ordine che deve cambiare. «Dopo le polemiche sulle manganellate di Firenze e Pisa, è passato il messaggio che chi sbaglia è la polizia. E ora chi sta in strada si sente non punibile».

Conestà è uno dei tanti rappresentanti degli agenti che subito dopo l’aggressione all’ispettore Christian Di Martino nella stazione di Lambrate, a Milano, si stringono intorno al collega ferito. Senza dimenticare, però, la cornice al cui interno è avvenuto il tentato omicidio. «Subiamo un’aggressione ogni tre ore, il tutto di fronte a una diffusa convinzione che tutto ciò possa rientrare in una normalità ormai quasi inevitabile. Ma questa non può essere la quotidianità», denuncia Felice Romano, segretario generale del Siulp, il primo sindacato del comparto sicurezza. 

 

«Le aggressioni ai poliziotti non dovrebbero essere tollerate in un Paese democratico», taglia corto Patrizio Del Bon, segretario generale della Consap. Aree fuori controllo - come le stazioni ferroviarie di Milano-, certezza di impunità di chi delinque, norme da aggiornare per la tutela degli operatori di polizia, mancata compattezza della politica- soprattutto a sinistra - nella difesa degli agenti. C’è tutto questo nelle reazioni dei sindacati.

«Le stazioni sono diventate zone franche, covi di spacciatori e tossici», attacca Conestà. E il quadro si aggrava se chi è deputato al controllo del territorio si sente poco tutelato: «Andiamo in mezzo alla strada con il timore di essere indagati. Non possiamo difenderci in nessun modo e se lo facciamo le strade sono due: l’ospedale o il tribunale». Romano punta l’indice sulla «certezza di impunità» come causa dell’escalation di aggressioni. 

 

«L’essere perseguito a livello penale non è più un deterrente», sostiene il numero uno del Siulp. «Se esistesse il reato di concorso morale in omissione nel non aver dato risposte a tutte le donne e gli uomini in divisa che servono il nostro Paese, oggi sarebbero in tanti a doverne rispondere», attacca. Per Romano è facile mettersi nei panni dei colleghi: «Se ho giurato fedeltà alla repubblica, e vedo che chi mi ha accoltellato va in galera e ci resta, io dico: “È valsa la pena del sacrificio”. Ma se così non è, perché rischiare una coltellata?».

La pensa come lui Domenico Pianese, segretario generale del Coisp: «Hasan Hamis, l’uomo che ha accoltellato il nostro collega, doveva essere in carcere per aver commesso numerosi reati, tra cui rapina aggravata, oltre che per la mancata ottemperanza del provvedimento di espulsione. Ora sia fatta giustizia e non vi siano richieste di assoluzione per infermità mentale». Pianese chiede alla politica compattezza: «Gli agenti che difendono lo Stato e i suoi cittadini hanno un costante bisogno di sostegno e del rispetto di tutti». Cosa che, il sottinteso è evidente, ultimamente non è accaduta.

«I fatti accaduti a Lambrate evidenziano quanto sia grave la situazione attuale. È la risultante di una politica di odio nei confronti della divisa», afferma Massimilano Pirola, segretario provinciale del Sap di Milano. «Siamo costretti a operare in un clima di ostilità e intimidazione. Il nostro compito diventa molto arduo per i continui attacchi strumentali che subiamo», concorda Vincenzo Chianese, numero uno di Equilibrio sicurezza. Il segretario generale del Sap, Stefano Paoloni, elenca le priorità degli agenti: «Servono giubbetti antitaglio, body camera, taser e norme adeguate a tutela del personale». «Nel resto d’Europa, le altre polizie escono in servizio con giubbotti antiproiettile e antitaglio che qui in Italia sono un miraggio», aggiunge Ilario Castello del Nuovo sindacato carabinieri (Nsc).

Invece il dibattito politico è dominato da «sterili strumentalizzazioni o campagne di carattere ideologico come quella dei numeri sulle divise, inutili e pericolosi», ricorda Paoloni. Perché aprirebbero la strada a false denunce e sarebbero «strumenti vessatori» per poliziotti e carabinieri, come già ricordato da Maurizio Gasparri, capogruppo di FI al Senato. Eppure tra Camera e Senato sono cinque i testi depositati da inizio legislatura: due del Pd (di Cecilia d’Elia e Laura Boldrini), uno di +Europa (Riccardo Magi); uno del M5S (di Alessandra Maiorino) e uno di Ilaria Cucchi (Avs).

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