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"No Meloni day", l'ultima pagliacciata di studenti e gretini: perché tornano in piazza

Alessandro Gonzato
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Urlano che la situazione della scuola «è critica», e hanno ragione da vendere, ma non parlano di loro. Signori e signore (senza schwa né asterischi), riecco gli studenti anti-Meloni. Venerdì, anziché andare in classe, sbraiteranno per strada i soliti slogan contro il governo. L’armamentario è quello: “fascisti”, “negazionisti”, “complici del genocidio” e altre gretinate che anticiperanno di un giorno il fine settimana. Studenti, centri sociali e chi più ne ha meno ne metta saranno supportati dai “Fridays for Future”, gli adepti della giovane Thunberg la quale adesso s’è convertita alla causa palestinese perché tira di più, domani chissà. Intanto dopodomani l’appuntamento sarà a Roma in piazzale Ugo La Malfa, come detto in orario scolastico, alle 9.30.

L’hanno chiamato “No Meloni day”, e l’originalità del nome è inferiore alle argomentazioni: il premier è colpevole anche degli «affitti per fuorisede che continuano a salire senza controllo», delle «città che si riempiono di bed&breakfast in attesa del Giubileo», dei «presidi-sceriffo che prendono decisioni sconsiderate sulle spalle degli studenti in merito a entrate in seconda ora e ricreazioni negate». Un attimo: è il momento della pausa-merendina.

 

Bene: riprendiamo. Il “No Meloni day” si scaglierà inoltre contro le «riforme di Valditara e Bernini che aumentano soltanto la subordinazione alle aziende e il carattere classista dell’istruzione pubblica. Ora basta!», tuonano i giovani ribelli, però non è un’autocritica. Noi piuttosto ricordavamo che nella scuola italiana ci sono professori, ogni riferimento a Christian Raimo di Alleanza Verdi Sinistra è voluto, i quali insegnano ai loro alunni a picchiare gli avversari politici, ma sono punti di svista, si capisce. Altri professori negli ultimi tempi hanno insultato la Meloni e criticato la Lega, ma è l’inquilina di Palazzo Chigi che mette a rischio l’istruzione di questi poveri ragazzi che daranno vita alla “giornata di mobilitazione studentesca nazionale”.

Si parte col vittimismo, come al corteo anti-Israele di sabato scorso. Poi vediamo. Speriamo che i protagonisti non emulino le zucche vuote ornate di kefiah. «L’autorizzazione solo parziale alla manifestazione dei Fridays for Future, piazza statica nel piazzale sì, corteo no e “si vede là”, è gravissima», scrivono. «Evidentemente», aggiungono i giovani e no (in mezzo a queste proteste ci sono sempre molti ripetenti, diciamo così), «gli scempi repressivi visti sabato non bastavano, e l’intenzione è di continuare ad attaccare il diritto di dissenso nel nostro Paese, arrivando a toccare manifestazioni studentesche senza apparenti problemi di ordine pubblico.

 

È chiaro», sentenziano gli anti-Meloni, «che il motivo è tutto politico e ha a che fare col disegno repressivo del governo, di cui il ddl 1660 è la rappresentazione più palese». In effetti la repressione è ferrea: nel 2023 ci sono state appena 11.219 manifestazioni nell’Italia dei neo-fascisti, la miseria di 30 al giorno, una vergogna. «Non ci stiamo!», protestano studenti e gretini, «Giù le mani dal diritto di manifestare!». Continuano: «La manifestazione si deve poter muovere e raggiungere il ministero dell’Istruzione; gli studenti devono portare la propria rabbia sotto i palazzi del governo ed essere ascoltati in un momento tanto drammatico per i nostri diritti in cui le scuole crollano e il carovita aumenta alle stelle». Studenti di sinistra e gretini, categorie che spesso si sovrappongono, affermano che «la situazione nazionale e internazionale è drammatica». Quella giovanile, in certi casi, è tragicomica.

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