La scia di sangue non si ferma più. A novembre scorso, il caso Ramy: con il giovane egiziano che, per sfuggire a un posto di blocco, scatena un inseguimento nel cuore di Milano, e finisce per schiantarsi. Pochi giorni fa, la vicenda di Momo, un amico di Ramy: anche qui con un giovane nordafricano finito contro un semaforo: vittima non di un incidente stradale, ma della sua scelta sbagliata di fuggire per il solo fatto di aver visto una pattuglia.
E ieri, tragicamente, si è registrato il più classico “non c’è due senza tre”, ma con una terribile novità, perché stavolta la vittima è totalmente innocente. Ha infatti perso la vita in provincia di Bologna un uomo che viaggiava insieme a sua moglie (quest’ultima è ora in prognosi riservata): la loro auto è stata colpita in pieno dalla macchina di tre sciagurati (il guidatore, a quanto pare, di origine magrebina), fuggiti all’impazzata da un controllo dei carabinieri. Per favore, nessuno parli di “tragica fatalità”, nessuno scomodi eufemismi o attenuazioni consolatorie. Qui siamo davanti a un caso da manuale di omicidio stradale. E – sullo sfondo – nessuno può toglierci dalla testa e dalle orecchie ciò che abbiamo dovuto sentire in tv e leggere sui giornali per sei lunghi mesi, a partire dal caso Ramy. Con i migliori cervelli della sinistra, con i più celebrati (e autocelebrati) commentatori progressisti impegnati – chi più spavaldo, chi più imbarazzato – a giustificare chiunque, al solo apparire di un poliziotto o di un carabiniere, sentisse o senta l’insopprimibile esigenza di fuggire.
Milano, lancio di oggetti al corteo per ricordare il 21enne morto scappando dalla polizia
Una fiaccolata sfociata nella violenza, quella organizzata per ricordare Mahmoud Mohamed, il 21enne di origine libica de...
Ne abbiamo ascoltate – da allora a oggi – di tutti i colori: chi si arrampicava sugli specchi dei consueti sociologismi («non li abbiamo capiti, non li abbiamo ascoltati, non li abbiamo integrati»); chi colpevolizzava le forze dell’ordine; chi dava lezioni di inseguimento; chi alimentava cortine fumogene per coprire il cuore della questione. Cuore della questione che qui sintetizziamo così: non si scappa dalle forze dell’ordine. E soprattutto: chi fugge all’impazzata mette in pericolo se stesso e gli altri. E allora diciamolo chiaramente. La responsabilità penale è personale: e dunque saranno i tre fuggiaschi di ieri (a partire dal guidatore) a dover rispondere di omicidio. Ma c’è anche una diversa responsabilità, di natura morale e politica, che investe una serie di onorevoli e di commentatori che, dai giorni del caso Ramy, ancora devono fare ammenda. Sarebbe l’ora che riconoscessero come proprio le loro parole di allora, i loro «che male c’è a fuggire», possono aver indotto altri a commettere di nuovo il medesimo tragico errore. Vale per Ramy, vale per Momo, e vale soprattutto per il povero cittadino di ieri, vittima dell’altrui sconsideratezza. Queste morti dovrebbero pesare anche sulla coscienza di chi ha irresponsabilmente parlato a vanvera.